martedì 27 settembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 208° pagina.


«Sì, uno dei motivi più importanti, anche se non l’unico. In ogni caso, era perché volevo vivere tranquillo».

Arrivati alla Piazza delle Spezie Menkhu rimase incuriosito dalla grande quantità di banchetti sotto le tende del mercato in mezzo alla piazza, dove si vendeva ogni sorta di frutta e verdure conservate sottolio o sotto spirito e ogni sorta di spezie, provenienti anche dai lontani paesi dell’Oriente.

Ma entrambi furono incuriositi dal centro stesso della piazza, sgombro di bancarelle, dove si ergeva la statua di Turmis, la divinità patrona dei commerci e dei mercanti, l’immagine di un giovane uomo dalla lunga capigliatura, a gambe nude, con una corta tunica, un grande cappello e un lungo bastone, una mano alzata in segno di benevolenza. Una statua fusa nel bronzo sopra un piedistallo di marmo, ai cui piedi venivano lasciate in offerta candele accese.

A Menkhu piacevano molto le statue degli Dei, e le immagini sacre della città erano molto più grandi e magnificenti e raffinate di quelle dei villaggi di campagna, perciò inevitabilmente lui non faceva altro che fermarsi ad ogni edicola e ogni tempietto, che si trovavano regolarmente a tutti gli incroci e a tutti gli angoli dei portici.

Per Velthur era un tormento attraversare la città con l’amico Sileno, perché non faceva altro che fermarsi a ogni più piccolo particolare per lui nuovo e insolito.

Ma quella volta, c’era un particolare in più che lo incuriosiva. Ai piedi della statua, c’era un sacerdote dalla lunga tunica bianca, che predicava alla folla urlando e inveendo.

«Quello chi è? Perché urla in questo modo? Con chi ce l’avrà?».

«Un predicatore di strada. Ce ne sono parecchi, in città. Esaltati religiosi che si improvvisano sacerdoti credendo di avere rivelazioni celesti e ammonendo le folle sulle malefatte di questo mondo. Normalmente poi predicano contro i kametheina athumiakh, i sacerdoti dei nobili, e contro le autorità cittadine».

«Fammi ascoltare un po’, ti prego. Tanto ormai siamo arrivati, no?».

«Va bene, ma solo pochi minuti. Quando avremo il libro, magari ti lascio fare un giro per la città, se vuoi, così puoi soddisfare un po’ la tua curiosità prima che ce ne andiamo….».

Menkhu si mescolò subito alla piccola folla di ascoltatori. Calando un po’ il suo cappello sul davanti e raccogliendosi ben dentro il suo mantello di lana, sperando così di non far notare il suo aspetto di essere dei boschi. Solo la folta barba rossa e i grossi piedi pelosi lo rendevano una figura inconsueta, oltre alla notevole stazza e statura.

«La Luce di Sil ci ha mostrato la via, ci ha dato il segno del suo volere con tali eventi prodigiosi. Prima ha fatto svelare il tempio dell’Era dei Giganti antidiluviani, quando il male e la violenza si propagavano su Kellur, la Madre Terra. Poi ha mostrato un prodigio celeste in occasione della visita della Regina, affinché fosse chiaro a tutti, e in particolar modo ai nostri governanti, che ci sta inviando dei moniti e dei messaggi, e li sta inviando a tutti i Thyrsenna, nessuno escluso.

Il segno del sole vermiglio è un chiaro simbolo di minaccia: significa sangue, fuoco, guerra, morte. Sangue che pioverà sul Regno Aureo come su di esso piove la luce del sole, immagine di Sil.

I demoni orribili che sono comparsi a molti sono un’ulteriore prova di questo monito: erano Demoni Oscuri venuti dall’Aisedis per minacciare i malvagi, coloro che offendono Sil con opere contro la religione e l’onestà.

Da tanti anni siamo in pace, non abbiamo più grandi invasioni dal nord e dall’est da diverse generazioni, e perciò ci siamo seduti sugli allori della nostra prosperità. Ma quanto può durare questo?

Badate, anche prima del Diluvio la gente credeva che il loro benessere sarebbe durato ancora molto tempo. Vivevano, mangiavano, bevevano, si divertivano e godevano di ogni bene, convinti di non dover fare i conti con gli Dei e la loro ira. E quando arrivarono le acque a travolgere tutto, non riuscirono a credere che fosse tutto finito, fino a quando furono sommersi.
Non facciamo lo stesso errore, non rendiamoci colpevoli di stoltezza e di superbia. Dobbiamo impedire che l’ira divina si abbatta sul nostro popolo, combattendo la corruzione e il male, la degenerazione dei costumi, la trascuratezza nei confronti del culto agli Dei. I nostri alti sacerdoti

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