domenica 25 settembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 206° pagina.


«E chi lo sa? Penso di sì, dato che sono ancora più antichi e sapienti delle Fate stesse. Come ho detto, solo gli Dei sono più vecchi di loro. Forse ce lo verrà a dire lui, ma sinceramente io spero che se ne rimanga nel fiume».

«Vedrò di parlargli io, se si farà rivedere. Ma chissà, forse in quel libro maledetto troverò qualcosa che mi faccia capire perché ci sta proteggendo. Probabilmente, anche i Sagusei hanno saputo di cosa sta facendo l’eremita pazzo, e per questo ne abbiamo visto uno dove il fiume raggiunge il suo punto più vicino a Monte Leccio, e ci ha detto quella frase misteriosa, quella sui gigli rossi e sui guardiani…. credo si riferisse alla legione dei gatti selvatici. Ma se il nostro amico non vorrà farsi vedere nei prossimi giorni, chiederò alle nostre amiche Fate come c’entra in questa storia. Loro sicuramente ce lo sapranno dire».

Dopo aver bevuto e mangiato qualcosa nella locanda, andarono di nuovo alla banchina dello scalo dei barconi, e la fortuna volle che trovassero subito un altro barcone, che trasportava un enorme carico di castagne ad Enkar.

Velthur fece la raccomandazione a Menkhu di non parlare assolutamente di spiriti, qualsiasi cosa vedesse, al padrone della barca capitasse di scorgere.

«Raccomandazione del tutto inutile, caro dottore – sbottò il Sileno – Dato che il remo sulla schiena me lo sono beccato io!».

Si era alzato un po’ di vento, e la nebbia si era in gran parte dispersa. Se Menkhu vedeva ancora qualche spirito, o quelli che lui credeva spiriti, non lo dette a vedere. Quello che era successo, gli aveva insegnato per sempre quanta superstiziosa violenza causava la paura degli Uomini per l’ignoto, e gli fece soprattutto capire perché suo padre ripeteva tante volte che bisognava stare attenti a rivelare particolari segreti agli Uomini, anche se si trattava di cose che per le altre stirpi di Kellur erano fatti del tutto naturali.

I due conducenti della seconda barca dissero loro che non si sarebbero fermati a nessun scalo per la notte, ma avrebbero continuato fino ad Enkar, perché erano in ritardo con le consegne.

I due viandanti risposero che per loro andava benissimo dormire sul barcone. Menkhu perché era abituato a dormire all’aperto, Velthur perché voleva sbrigarsi il prima possibile a compiere il suo viaggio.

Il barcone arrivò in vista della città la mattina del giorno dopo, poco dopo il sorgere del sole. Per fortuna non c’era più nebbia, e Menkhu poté ammirare lo spettacolo delle mura di pietra della città, e del grande, alto ponte che le collegava da una riva all’altra.

 Il fiume infatti passava attraverso il centro di Enkar, e dove esso passava attraverso le mura, gli abitanti di Enkar avevano costruito tre grandi e massicce torri di guardia, da dove le difese della città avrebbero distrutto qualsiasi imbarcazione di eventuali invasori, facendo precipitare sostanze infuocate dall’alto dei loro bastioni.

Altre tre torri di guardia sorvegliavano l’altro lato delle mura. Per chi veniva lungo il fiume, o sulla strada lastricata che lo fiancheggiava, era una vista imponente e suggestiva vedere le tre torri quadrate dominare il fiume, due sui lati del fiume e la terza in mezzo ad esso, collegate da due ponti, con le guardie armate che sorvegliavano perennemente, giorno e notte, dall’alto degli spalti.

Menkhu era senza parole, letteralmente ipnotizzato dalle mura e dalle torri monumentali.

Lui, un Sileno dei monti e dei boschi, non solo non aveva mai visto una città vera e propria, ma nemmeno aveva mai potuto immaginarla. Le case dei villaggi di campagna e di montagna, al massimo a due piani, in genere fatte in parte di legno e non di sola pietra come gli edifici cittadini, erano ben lontane da quelle opere dai blocchi enormi, con fregi scolpiti di bassorilievi sulle sommità e lungo gli angoli fra un lato e l’altro.

Se il barcone fosse giunto ancora prima del levarsi del sole, la vista sarebbe stata ancora più prodigiosa, illuminata dalla luce azzurra di migliaia e migliaia di lampade perenni nelle vie, sulle torri e i ponti e lungo le mura.
Dietro le torri, il fiume passava accanto a una grande piazza, la Piazza dei Sacchi, così chiamata perché era il principale scalo delle barche. Da Piazza dei Sacchi partiva un’ampia via fiancheggiata

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