venerdì 10 giugno 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 114° pagina.


Dopo il paese, c’era un bivio. A destra la strada proseguiva lungo il corso del fiume, verso la Valle dell’Eydin in mezzo alle montagne, a sinistra si inoltrava nelle colline, fino alla località di Leukun, passando per altri due minuscoli paesini.

Di fronte al bivio, Velthur rimase per un lungo attimo fermo, in contemplazione, meditando su ciò che vedeva. Guardò la strada lastricata perdersi in lontananza verso occidente, verso la grande imboccatura della valle da cui il fiume scendeva nella pianura, e pensò che avrebbe voluto un giorno seguire quella strada fino ad arrivare all’alto corso dell’Eydin, dove avrebbe trovato il sentiero che conduceva verso quel luogo proibito chiamato la Valle dei Gigli.

Molte volte, fin da giovane, fin da quando aveva saputo della spaventosa vicenda di quella valle dai racconti dei vecchi e dai libri di suo zio materno, aveva provato il desiderio di tentare l’avventura in quel luogo, e vedere fin dove si spingeva il suo coraggio.

Spesso, fin da giovane, si era chiesto se sarebbe stato capace di arrivare fin là e di aggirarsi fra le rovine dei villaggi abbandonati, cercando tracce di ciò che vi era successo, e se sarebbe stato in grado di passare anche una sola notte in quel luogo maledetto.

Spesso aveva fantasticato con i suoi amici di poter organizzare un’escursione fin lassù, di esplorare la valle in lungo e in largo, e di poter riportare a casa qualche reperto, magari qualche avvincente scoperta su quel mistero.

Ma i sogni giovanili erano rimasti sogni, anche se una parte di lui vi era rimasta legata. Quella stessa parte che ora si era risvegliata e lo stava ossessionando. Quella parte che sperava di poter soffocare nuovamente prendendo invece l’altra strada, quella per le Colline di Leukun.

Trovava che l’immagine di quel bivio fosse spaventosamente simbolica, come se rappresentasse il bivio della sua vita e del suo destino. O affrontare l’Ignoto più oscuro, o affrontare le rivelazioni delle Custodi del Fato. O il fascino terrificante del buio, o la minaccia di una luce cruda e accecante che rivelava verità che forse non avrebbe mai voluto sapere.

Per un istante considerò assurdamente l’idea che quella scelta fosse reale, e che avrebbe davvero potuto incamminarsi verso la Valle dei Gigli, come un vagabondo alla ventura, affrontando i disagi e i pericoli di un pellegrinaggio solitario verso l’ignoto.

Ma fu un istante, la vecchia responsabile razionalità del dottore ebbe come al solito il sopravvento.

La follia in lui non riusciva mai a prevalere, e un po’ se ne dispiaceva. Essere troppo razionali rendeva la vita così monotona, abitudinaria e noiosa. Anche se in quel momento, a dire il vero, non avrebbe potuto lamentarsi di questo in nessun modo.

S’incamminò sulla strada di sinistra, inoltrandosi in una piccola valle tra le colline, coperta di luminosi boschi d’ippocastani.

Il popolo delle Fate sembrava prediligere i boschi che non fossero troppo fitti e bui, I popoli del nord le avevano chiamate Elfi del Crepuscolo, perché appunto amavano l’ombra dei boschi, ma non il buio delle selve più oscure o delle caverne.

Per questo un’antica comunità di Fate aveva scelto quelle colline come sede fin da tempi molto remoti. Si diceva che vivessero là dai tempi immediatamente successivi al Diluvio, quando faticosamente la vita era tornata sulle desolate distese di fango e le Fate stesse avevano piantato i primi alberi di quelle foreste.

Anche se Velthur aveva avuto modo di conoscere delle Fate nella sua vita, non si era mai addentrato in uno dei loro territori. Per lui era un’esperienza del tutto nuova. Certo, aveva letto molti libri sulle Fate e sui loro regni segreti, sulla loro religione misterica e sulle loro tradizioni, aveva contemplato molte illustrazioni che rappresentavano la loro vita, i loro costumi e sulle loro abitazioni, ma i libri non possono mai raccontare tutta la verità. E poi correvano troppe dicerie e leggende infondate, che intorbidavano ogni conoscenza attendibile sul loro conto.

Certe cose le riteneva oggettivamente incredibili. Ma se avesse potuto conoscerle sul loro territorio, forse avrebbe potuto verificare cosa ci fosse di vero sul loro conto.

Aveva ormai percorso diversi chilometri sulla strada tra le colline, quando gli capitò un colpo di fortuna. Dietro di lui comparve un carro trainato da un paio di muli, guidato da un vecchio che gli offrì un passaggio.
L’uomo, che si chiamava Sethir Frontyak

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