Dopo il paese, c’era un bivio. A destra la strada proseguiva
lungo il corso del fiume, verso la
Valle dell’Eydin in mezzo alle montagne, a sinistra si
inoltrava nelle colline, fino alla località di Leukun, passando per altri due
minuscoli paesini.
Di fronte al bivio, Velthur rimase per un lungo attimo
fermo, in contemplazione, meditando su ciò che vedeva. Guardò la strada
lastricata perdersi in lontananza verso occidente, verso la grande imboccatura
della valle da cui il fiume scendeva nella pianura, e pensò che avrebbe voluto
un giorno seguire quella strada fino ad arrivare all’alto corso dell’Eydin,
dove avrebbe trovato il sentiero che conduceva verso quel luogo proibito
chiamato la Valle
dei Gigli.
Molte volte, fin da giovane, fin da quando aveva saputo
della spaventosa vicenda di quella valle dai racconti dei vecchi e dai libri di
suo zio materno, aveva provato il desiderio di tentare l’avventura in quel
luogo, e vedere fin dove si spingeva il suo coraggio.
Spesso, fin da giovane, si era chiesto se sarebbe stato
capace di arrivare fin là e di aggirarsi fra le rovine dei villaggi
abbandonati, cercando tracce di ciò che vi era successo, e se sarebbe stato in
grado di passare anche una sola notte in quel luogo maledetto.
Spesso aveva fantasticato con i suoi amici di poter
organizzare un’escursione fin lassù, di esplorare la valle in lungo e in largo,
e di poter riportare a casa qualche reperto, magari qualche avvincente scoperta
su quel mistero.
Ma i sogni giovanili erano rimasti sogni, anche se una parte
di lui vi era rimasta legata. Quella stessa parte che ora si era risvegliata e
lo stava ossessionando. Quella parte che sperava di poter soffocare nuovamente
prendendo invece l’altra strada, quella per le Colline di Leukun.
Trovava che l’immagine di quel bivio fosse spaventosamente
simbolica, come se rappresentasse il bivio della sua vita e del suo destino. O
affrontare l’Ignoto più oscuro, o affrontare le rivelazioni delle Custodi del
Fato. O il fascino terrificante del buio, o la minaccia di una luce cruda e
accecante che rivelava verità che forse non avrebbe mai voluto sapere.
Per un istante considerò assurdamente l’idea che quella
scelta fosse reale, e che avrebbe davvero potuto incamminarsi verso la Valle dei Gigli, come un
vagabondo alla ventura, affrontando i disagi e i pericoli di un pellegrinaggio
solitario verso l’ignoto.
Ma fu un istante, la vecchia responsabile razionalità del
dottore ebbe come al solito il sopravvento.
La follia in lui non riusciva mai a prevalere, e un po’ se
ne dispiaceva. Essere troppo razionali rendeva la vita così monotona,
abitudinaria e noiosa. Anche se in quel momento, a dire il vero, non avrebbe
potuto lamentarsi di questo in nessun modo.
S’incamminò sulla strada di sinistra, inoltrandosi in una
piccola valle tra le colline, coperta di luminosi boschi d’ippocastani.
Il popolo delle Fate sembrava prediligere i boschi che non
fossero troppo fitti e bui, I popoli del nord le avevano chiamate Elfi del
Crepuscolo, perché appunto amavano l’ombra dei boschi, ma non il buio delle
selve più oscure o delle caverne.
Per questo un’antica comunità di Fate aveva scelto quelle
colline come sede fin da tempi molto remoti. Si diceva che vivessero là dai
tempi immediatamente successivi al Diluvio, quando faticosamente la vita era
tornata sulle desolate distese di fango e le Fate stesse avevano piantato i
primi alberi di quelle foreste.
Anche se Velthur aveva avuto modo di conoscere delle Fate
nella sua vita, non si era mai addentrato in uno dei loro territori. Per lui
era un’esperienza del tutto nuova. Certo, aveva letto molti libri sulle Fate e
sui loro regni segreti, sulla loro religione misterica e sulle loro tradizioni,
aveva contemplato molte illustrazioni che rappresentavano la loro vita, i loro
costumi e sulle loro abitazioni, ma i libri non possono mai raccontare tutta la
verità. E poi correvano troppe dicerie e leggende infondate, che intorbidavano
ogni conoscenza attendibile sul loro conto.
Certe cose le riteneva oggettivamente incredibili. Ma se
avesse potuto conoscerle sul loro territorio, forse avrebbe potuto verificare
cosa ci fosse di vero sul loro conto.
Aveva ormai percorso diversi chilometri sulla strada tra le
colline, quando gli capitò un colpo di fortuna. Dietro di lui comparve un carro
trainato da un paio di muli, guidato da un vecchio che gli offrì un passaggio.
L’uomo, che si chiamava Sethir Frontyak
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