domenica 26 giugno 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 128° pagina.


Non ci fu bisogno che lo Gnomo gliele presentasse: erano senza alcun dubbio la Triplice Regina delle Fate delle Colline di Leukun.

«Su, che aspetti? Vai da loro, le Tre Madri del Fato ti attendono da tempo».

Velthur non se lo fece dire due volte. Anche se si sentiva ancora più intimorito, si sentiva anche straordinariamente eccitato, nel vedere che quel viaggio non era stato inutile, e che le Fate addirittura lo stavano aspettando.

«Come devo rivolgermi alle Loro Maestà? Non conosco il protocollo del vostro popolo».

«Il protocollo è una cosa per voi Uomini. Va da loro e aspetta che ti parlino».

Mentre si avvicinava alle tre sovrane, le altre Fate e gli Gnomi non si distraevano dalle loro faccende, né si avvicinarono o dimostrarono di provare interesse per la conversazione che ne seguì.

Le tre figure apparivano intente in un’attività insolita per delle regine: stavano filando una grande massa dorata fatta di quella che sembrava paglia.

Fra le molte cose che aveva letto o sentito dai racconti dei contadini, c’era anche la storia secondo cui le Fate, maestre nell’arte di tessere e filare, erano in grado di trasformare la paglia in un sottile tessuto, soffice come il cotone, semplicemente filandolo con le loro mani.

Quando si trovò di fronte a loro, poté osservare meglio i particolari della loro attività..

La Regina Nera passava la paglia tra le dita e questa sembrava sfilarsi ed ammorbidirsi in una tenue massa di sottili fili dorati, la Regina Rossa filava la matassa in un filo che arrotolava in gomitoli con una conocchia, e la Regina Bianca intesseva i gomitoli con uno strano strumento di legno che sembrava quasi una cetra, e che teneva sulle ginocchia.

Dalle sue ginocchia usciva questo strano tessuto fatato che ricordava l’elettro, la lega d’oro e d’argento tanto rinomata nel Regno Aureo, come un lungo tappeto che veniva raccolto in un rotolo avvolto su di un cilindro di legno.

Lavoravano come se la loro vita fosse tutta là, come se non avessero nient’altro da fare tutto il giorno.

Di tutte e tre, quella dall’aspetto più inquietante era proprio la Regina Bianca. Il pallore della pelle, il bianco candido dei suoi lunghissimi capelli, contornati dal velo e dalla tunica altrettanto bianchissimi, la facevano sembrare un fantasma.

Ma Velthur sapeva benissimo cosa rappresentava la scena che aveva di fronte. Tutto aveva un preciso significato, che lui conosceva bene.

La Triplice Regina non era altro che l’immagine terrena della Triplice Dea delle Fate e della stregoneria, la Grande Madre Ianarthi Trimusiakh, i Tre Volti del Fato, le Tre Signore della Vita e della Morte, Colei che intesseva incessantemente il Fato di ogni essere e di ogni cosa.

La Regina Bianca era la Dea Madre della Luce, la Regina Nera era la Dea Madre della Notte, cioè la sua immagine opposta, e la Regina Rossa era la Dea Madre del Crepuscolo, dell’Aurora e del Tramonto, della Penombra, il confine e la differenza tra le sue due sorelle.

La Regina Rossa era la spenta luce rossa che delimita il confine fra il visibile e l’invisibile, fra ciò che è pienamente illuminato e ciò che è avvolto dalle tenebre, fra il noto e l’ignoto. Colei che impediva che la Luce e la Notte travalicassero l’una contro l’altra, Colei che faceva da tramite fra l’una e l’altra. Colei che stava in mezzo a tutto, e dove tutto passava.

Così come la materia informe passava dalle mani della Notte, la matassa del filo passava dalle mani della Regina Nera nelle mani della Regina Rossa, per diventare un filo diritto nelle mani della Luce, la Regina Bianca, che lo intesseva nella struttura dell’esistenza.

Quella struttura megalitica era una reggia e un tempio: le tre colonne rappresentavano i sostegni del mondo, rappresentato dalla straordinaria lastra di pietra sulle loro teste.

A cosa servisse la stoffa che intessevano Velthur però non lo sapeva.

La Regina Bianca parlò.

«Il tessuto che produciamo ogni giorno va a tutto il nostro popolo, diviso in parti eguali. Serve a fare i loro vestiti».

«Non hai niente da chiedere, Velthur Laran?» gli disse la Regina Nera.

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