L’uomo, che si chiamava Sethir Frontiakh, era diretto a Tulvanth,
in cui viveva, e che era il paese più vicino alle Colline di Leukun.
Il nome della località chiaramente non era stato scelto a
caso, dato che Tulvanth nella lingua dei Thyrsenna significava “confine del
fato” o qualcosa del genere.
Sethir, dalla lunga barba senza baffi, grigia ed appuntita
come voleva la tradizione dei vecchi contadini, e dai grigi e furbi occhi
chiarissimi, stava tornando a casa dopo aver portato il proprio granturco da
macinare ad uno dei mulini ad acqua che si trovavano lungo il fiume Eydin ad
Aminthaisan.
Velthur salì sul carro a fianco del vecchio e si misero a
chiacchierare per far passare il tempo.
«State andando al bosco delle Fate, vero?».
«Come avete fatto ad indovinare?».
«Indovinare? Non c’è neanche bisogno di indovinare. Anzi,
non avrei neanche dovuto domandarvelo! Eh, li si vede bene, quelli che vanno al
bosco delle Fate. Li si riconosce tutti quanti. Con quell’aria da viandati
pellegrini, che vanno lungo questa strada nella speranza di poter incontrare
qualche Fata che gli dia risposte sulla loro sorte, o sulla sorte di persone a
loro care, o anche per ricevere solo un consiglio in cambio di qualche favore».
«Ne vengono in tanti qui, per visitare le Fate?».
«Oh sì, tanti e da sempre. Da quando esiste il villaggio,
perché loro erano già là da molto prima. Dai tempi del Diluvio. Vengono in
tanti, ma non tutti riescono a parlarci. Solo a chi comoda a loro. E non si
riesce a capire perché alcuni riescano ad avere udienza, e altri no. Capita che
persone importanti e rispettabilissime vengano qui, e non ottengano un ragno
dal buco, mentre invece emeriti briganti e malfattori, o poveracci senza arte
né parte, vengano ricevuti subito e senza tanti problemi.
Un vecchio carico di esperienze deve andarsene con le pive
nel sacco, mentre magari invece un ragazzino sciocco e frivolo che le visita
solo per gioco, trova risposte alle sue domande.
I più saggi dei nostri contadini dicono che è così proprio perché
le Fate vedono il futuro, e vedono anche le conseguenze dei loro responsi. E
quindi sanno anche a quali persone è meglio darli, e a quali no, perché
avrebbero conseguenze nefaste. Ma in realtà, non si capisce molto di quella
gente. Noi che ci viviamo vicino forse non ne sappiamo molto di più di chi non
le ha mai viste in vita sua.
Le Fate mantengono gelosamente i loro segreti, e noi non
cerchiamo certo di carpirli, per non inimicarcele. Meglio averle come amiche
che come nemiche».
«Voi siete mai stato da loro? Avete chiesto anche voi
qualche responso?».
«Mai. Le ho viste parecchie volte, ovviamente. Le ho
incontrate e ho parlato loro, e ho scambiato doni, ma non ho mai chiesto niente
di più.
Non ho mai voluto sapere il futuro, o scoprire cose del passato.
Né ho mai sentito il bisogno di farlo. Sarà che sono stato fortunato e ho avuto
una vita abbastanza tranquilla. Penso che le gente che va dalle Fate a cercare
risposte siano tutte persone che soffrono, o che hanno tanta paura.
Anche voi, immagino che volete andare da loro perché c’è
qualcosa che vi angoscia, o perché avete avuto un grande dolore nella vostra
vita, e vorreste trovare qualcosa che lo spenga, o lo renda meno violento....».
«Sì, ma preferisco non parlarne».
«Oh, scusate. Non volevo sembrare impiccione, era solo per
chiacchierare. Ma io ne ho viste tanti di visitatori, di tutti i tipi, salire
su questa strada a piedi, in cocchio, a cavallo, su di un carro. Contadini come
me, gente di città, poveri e ricchi, persino molti sacerdoti, anche se magari
diffidano i fedeli a non seguire i culti praticati dalle Fate. Poi sono loro i
primi a cedere alla tentazione, e sul loro conto si narrano le storie più belle
ed intriganti fra tutte quelle che sentiamo qui. Quante storie che si sentono!
A centinaia, una per ogni visitatore!».
«Beh, dato che avete il tempo di raccontarmele, ditemene
almeno qualcuna. Può darsi che dopo mi decida a raccontare io il perché sono
venuto qui. Così potrete aggiungere la mia storia al vostro repertorio».
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