«Alle volte vorrei avere un’istruzione, poter leggere tanti
libri e conoscere il mondo fuori dal villaggio, ma non saprei a chi rivolgermi,
dove andare. Mia nonna mi ha insegnato a leggere e scrivere, ma qui non ci sono
molti libri. Non saprei neanche dove comprarli».
«Ve li potrei fornire io. Che libri vi piacerebbe leggere?».
«Non so neanche che libri potrei leggere. Mia nonna tiene
alcuni libri religiosi, mi ha fatto leggere il Tinsina Entinaga, e un poema antico sulla Prima Regina e le sue
battaglie per fondare il Regno Aureo….».
«Sì, l’Avilna Thesanal,
Gli Anni del Mattino. È la prima opera poetica che i bambini imparano a scuola.
Vi piace la poesia?».
«Sì, credo proprio di sì. Penso che mi piacerebbe leggere un
libro di poesie».
«Quando torno a casa, ve lo farò avere».
«Tanto, non credo che voi vi farete vedere ancora da queste
parti».
«Non è detto. Ammetto che qui è un po’ fuori mano per chi
sta ad Arethyan, ma non siamo neanche lontanissimi. Voi non uscite mai dal
villaggio?».
«Beh, a volte vado al mercato di Aminthaisan con i miei
parenti».
«E ad Arethyan, ci siete mai stata?».
«No, mai».
«Vi piacerebbe venire una volta o l’altra, ed essere mia
ospite?».
«Io…. sì. Mi piacerebbe molto».
«Allora, quando volete, la mia porta è aperta per voi. Così
potrò ricambiare la vostra gentilezza».
Velthur la vide arrossire, e sorridere come non aveva mai
fatto prima da che l’aveva vista per la prima volta.
Finito di mangiare, Velthur chiese di poter tornare a letto
e le augurò la buona notte.
Il giorno dopo, voleva subito andare al bosco delle Fate,
per poter incontrarsi con loro.
Riuscì a dormire, ma verso il mattino fece dei brutti sogni,
confusi e sgradevoli, che non riuscì neanche a ricordarsi quando si svegliò,
richiamato dal bussare alla porta della sua camera.
La figlia maggiore della matriarca lo chiamava a consumare
la colazione assieme agli altri membri della famiglia.
La donna sbirciò dalla porta, chiedendogli se stava bene, e
che era molto dispiaciuta del fatto che il vino fatato gli avesse fatto così
male.
Velthur le disse di aspettare un attimo, che si infilasse i
suoi vestiti, poi uscì dalla camera chiedendo dove potesse lavarsi un poco.
Mentre la donna lo conduceva alla fontana accanto alla casa,
il dottore le disse che, se davvero erano dispiaciuti di quello che era
successo, di non offrire mai più ad alcun ospite il vino fatato.
Gli rispose che sua figlia Harali gli aveva raccontato cosa
si erano detti la sera prima, e gli promise che non l’avrebbero più fatto.
Velthur non ci credeva, ma in fin dei conti sapeva che non
poteva farci niente. Chissà quanti otri di vino drogato c’erano in quel paese
degradato, vino fatato che scorreva a fiumi nelle notti di plenilunio,
consumato insieme dalla gente del paese, la gente del bosco e dai visitatori
che venivano di nascosto a partecipare ai culti misterici e a farsi praticare
la divinazione dalle Custodi del Fato.
Sethir sembrava sinceramente dispiaciuto. Disse che non
aveva mai visto uno urlare ed agitarsi subito come aveva fatto lui, e gli
chiese cosa avesse visto di così spaventoso.
Gli rispose che aveva visto dei mostri orribili che neanche
voleva ricordare, senza aggiungere particolari.
Non voleva perdersi a descrivere i particolari delle sue
visioni, che senz’altro ricordava molto bene e che l’avevano impressionato,
perché non aveva voglia di discorrere ancora con il vecchio furbacchione.
Eppure un particolare lo ossessionava con il suo ricordo.
Quello dello strano, gigantesco uomo dai grandi occhi neri che gli aveva detto
quella frase apparentemente priva di senso.
Fece colazione rapidamente, salutò i suoi ospiti e chiese
loro la strada per raggiungere le dimore delle Fate nel bosco.
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