lunedì 13 giugno 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 117° pagina.


È questo che bisogna sapere ogni volta che si va a chiedere un responso alle Fate: rendersi conto che quello che dicono può voler significare cose diverse. Altrimenti, rischi di venire ingannato».

«Insomma, delle belle imbroglione, queste Fate!»

«Sì e no. In realtà le Fate sono come la vita, o meglio come il Fato di cui portano il nome. Nella vita quante cose sono chiare? Vi è mai capitato, con il senno di poi, di dirvi: “che stupido sono stato a non capire prima quello che i fatti della vita volevano dirmi”?».

«Innumerevoli volte. E a dire il vero, il motivo per cui sto andando dalle Fate è proprio perché non voglio, per l’ennesima volta, trovarmi a dire proprio questa frase!».

«E allora vi racconto un’altra storia, per farvi capire meglio ciò di cui sto parlando. Un ricco athum,  si recò dalle Fate per sapere chi era che aveva svaligiato la villa di sua madre, rubando tutti gli oggetti di valore che vi si trovavano. Sperava di poter recuperare almeno una parte dei loro averi, perché fra le cose che i briganti avevano depredato, c’erano molti cimeli e gioielli di famiglia.

In cambio, offrì tutto il vino degli otri delle sue cantine.

La Fata con cui parlò gli chiese se era sicuro di volerlo sapere, perché quello che avrebbe saputo forse gli avrebbe recato un dolore più grande di quello che aveva provato quando era stato derubato.

L’uomo ammise che in quel caso forse non lo voleva sapere, perché il messaggio era chiaro: doveva esserci di mezzo qualcuno molto vicino a lui. Rispose quindi che più che voler sapere chi erano i colpevoli, voleva sapere come fare per riavere ciò che era stato tolto alla sua famiglia.

La Fata gli disse che se voleva trovare la refurtiva, l’avrebbe trovata in una grotta sulle colline, che era un magazzino dei briganti che nascondevano là i bottini delle loro scorrerie.

Il nobile patrizio si recò là con dei gendarmi e con tutti i suoi servi armati fino ai denti, e trovò effettivamente gran parte degli oggetti rubati dalla sua villa e anche molte altre cose rubate.

I gendarmi poi, che volevano assolutamente catturare i briganti, si appostarono nella caverna e attesero che questi comparissero. Ne risultò un combattimento, e alcuni dei briganti furono uccisi, e altri catturati, fra i quali il loro giovane capobanda, un uomo di grande avvenenza e prestanza fisica.

Quando si seppe che quella banda di briganti era stata catturata, e che il capobrigante sarebbe stato decapitato sulla piazza del paese vicino alla villa, la sorella più giovane del nobile patrizio sparì nella notte. Fu cercata dappertutto fino a quando fu scoperta dai gendarmi intenta a cercare di far evadere il capobanda dei briganti, di cui era l’amante.

Si venne a sapere quindi che era stata lei a far entrare nottetempo i briganti nella villa, una notte che i suoi familiari si erano allontanati in visita a dei parenti, e gli schiavi erano stati spinti ad ubriacarsi dalla fanciulla.

Al nobiluomo si spezzò il cuore, perché la fanciulla fu imprigionata con l’accusa di complicità, ma lei non poté neanche vedere la fine del processo, perché si suicidò in carcere dopo l’esecuzione del suo amato.

Disperato e pieno di rimpianto, volle tornare dalle Fate, per chiedere loro quale sarebbe stata la domanda che avrebbe dovuto porre per permettergli di riavere la refurtiva senza causare la tragedia e la vergogna familiare che l’aveva poi colpito. Forse voleva capire dove aveva sbagliato, e anche se non poteva tornare indietro, voleva imparare a evitare altri tragici errori futuri.

Le Fate gli risposero che avrebbe potuto fare due domande diverse: una era “cosa devo fare per riottenere la refurtiva senza dover scoprire chi è stato a rubarmela”, e loro gli avrebbero dato il nome del colpevole con cui avrebbe potuto mercanteggiare per riottenere il maltolto, ma non avrebbe risolto il suo problema familiare di cui non si era neanche reso conto.

E l’altra domanda sarebbe stata “come devo fare per impedire che succedano altre disgrazie in famiglia” e allora loro gli avrebbero detto di mandare sua sorella in un monastero per tre anni. Cosa che gli avrebbe fatto mangiare la foglia, ma almeno sua sorella sarebbe stata ancora viva.

Il nobiluomo poi aveva chiesto ancora quale secondo loro sarebbe stata fra le due la domanda migliore da porre, e loro gli risposero che era un ben misero Uomo se credeva che potessero essere le Fate a dover guidare le scelte degli Uomini, dicendo loro quale era la scelta migliore da prendere.
Capite la morale della storia? Bisogna saper porre le domande giuste, per avere le risposte giuste. Ma è sempre col senno di poi, che ci accorgiamo di aver posto le domande sbagliate. Eh, io c’ho

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