Pensava che nella migliore delle ipotesi le persone così
avessero la lingua troppo lunga, e nella peggiore fossero semplicemente false.
Anche il fatto di aver subito accennato alla sua volontà di
visitare al più presto la nuova attrazione locale, gli dava l’idea di una
persona frivola, di una viaggiatrice in cerca di curiosità, e non di una
professionista.
Sperava che i suoi pazienti non arrivassero a odiarlo perché
li aveva messi in mano a un tipo del genere, anche se per pochi giorni, e
sperava anche di non dover rimproverare l’amico Keilin per avergli mandato
Amani.
Ma cosa fatta capo ha, e adesso lui pensava solo a fare i
bagagli ed andarsene.
Mostrò alla giovane la camera degli ospiti, le elencò le
regole della casa e le parlò dei suoi pazienti, mostrandole i suoi registri e
il suo laboratorio con tutti gli strumenti che possedeva. Le mostrò anche la
sua vasta biblioteca, dicendole che lì avrebbe trovato non solo libri di
medicina e di farmacia alchemica, ma anche di varia cultura e narrativa, se
voleva svagarsi a leggere qualcosa di interessante o di piacevole.
«La vostra è davvero una biblioteca notevole, dottor Laran.
Vedo che anche lei si interessa di esoterismo mistico e filosofico e di
mitologia misterica. Avrò molte cose interessanti da leggere nei momenti di
riposo».
«Sono letture che vanno prese con le pinze, dottoressa
Irizar.
Da giovane m’interessavo di più a queste cose, poi con l’età
sono diventato più scettico e posato. Un conto è essere aperti all’esistenza
dell’ignoto, un conto è credere a tutto quello che si sente raccontare. La
cultura misterica è una lettura piacevole, ma l’importante è non staccarsi mai
dalla realtà».
Lei non disse niente. Sembrò quasi imbarazzata, e il dialogo
al riguardo finì lì.
La mattina dopo, di buonora, Velthur si alzò per partire
subito dopo colazione. A piedi.
La zona che voleva raggiungere distava circa trenta
chilometri in linea d’aria, e contava di raggiungerla entro sera. I motivi per
cui voleva arrivarci a piedi erano diversi. Innanzitutto, gli piaceva molto
camminare e godersi la contemplazione del mondo circostante, soprattutto quando
visitava posti in cui non era mai stato. In direzione delle montagne non si era
mai mosso in vita sua più in là del vicino paese di Aminthaisan.
Un’altra, era che odiava andare a cavallo, proprio come ad
Amani Irizar. Un’altra ancora era che non aveva fretta di arrivare. Voleva fare
le cose con molta, molta calma.
Fece le ultime raccomandazioni alla signora Mendibur e alla
dottoressa Irizar, e si incamminò per la strada lastricata per Aminthaisan e le
montagne, con una bisaccia in spalla.
Il tempo era abbastanza nuvoloso, ma non dava l’impressione
di voler piovere. Le nuvole nel cielo erano lisce, allungate e di un grigio
chiaro, nuvole stirate dal vento ma non foriere di pioggia.
La luce malinconica di quel mattino sembrava quasi
annunciare la malinconia del suo viaggio. Un viaggio che non aveva una
destinazione gioiosa, e che non annunciava nulla di buono.
Quando passò di fronte alla stradina che portava alla
fattoria dei Ferstran, fu quasi tentato di andare a far loro visita e vedere
come stavano Larsin e Syndrieli, ma si trattenne. Era meglio tirare dritto e
basta.
E quando passò di fronte a Monte Leccio, dovette combattere
contro la tentazione di salire lungo il sentiero per dare un’occhiata all’eremo
del Reverendo Padre Aralar Alpan, per cercare indizi su quello strano eremita e
sui segreti che sicuramente custodiva.
Quando arrivò ad Aminthaisan, si concesse una seconda
colazione in una locanda. Aveva camminato per due ore, e probabilmente quando
sarebbe stata ora di pranzo non sarebbe stato in vista di un posto dove
mangiare. Certo, si era portato dietro alcune cose da mangiare, ma non sapeva
bene a cosa sarebbe andato incontro, dopo aver superato Aminthaisan.
Quella era una zona poco popolata, probabilmente non c’erano
locande in cui fermarsi, e forse nemmeno fattorie in cui chiedere qualcosa da
mangiare.
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