domenica 12 giugno 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 116° pagina.


«Bene, allora le racconterò di quella donna molto povera, che si preoccupava per il suo unico figlio, e per il futuro che avrebbe avuto. Sperava che le Fate le dicessero che suo figlio avrebbe avuto una vita migliore della sua, o che le avrebbero indicato il modo di ottenerla.

Arrivò qui con il figlio, e si recò nel bosco delle Fate, supplicandole di risponderle. Portava in dono cibi e bevande perché non aveva altro da offrire.

Le Fate comparvero, e una di loro profetizzò su suo figlio, ponendogli le mani sul capo. Le disse che il figlio avrebbe avuto una vita uguale a quella di tanti altri, fino a quando non avesse trovato un grande tesoro.

La donna chiese anche se lei avrebbe potuto fare in tempo a vedere la fortuna del figlio, e la Fata rispose che sì, avrebbe fatto in tempo, ma che purtroppo non avrebbe potuto goderla a lungo, a causa di una persona malvagia, ma che sarebbe riuscita comunque a vendicarsi del torto subìto.

La donna chiese allora che cosa intendeva dire, e la Fata rispose che l’unica altra cosa che poteva dire è che se suo figlio avesse rinunciato alla sua fortuna, allora non ci sarebbe stata ombra di malvagità nelle loro vite, e che il figlio avrebbe vissuto comunque una vita tranquilla, serena e lunga, anche se da povero.

La donna si ritenne soddisfatta, e pensò di aver ricevuto un responso comunque molto favorevole, anche se in parte oscuro, e se ne ritornò a casa aspettando fiduciosa il futuro.

Passarono gli anni, e il figlio divenne grande. Un giorno conobbe una bellissima e giovane  athum, una nobile patrizia che viveva in una splendida villa giù in pianura. La giovane s’innamorò del ragazzo, pur essendo povero e di umili origini, e volle addirittura sposarlo. Lei era rimasta orfana di entrambi i genitori, e nessuno poteva perciò opporsi al suo matrimonio, anche se i parenti superstiti e gli amici e conoscenti del suo ceto potevano solo disapprovare il matrimonio con uno di così umili e oscure origini.

Quindi il matrimonio avvenne, e il giovane povero si trovò ad essere un ricco signore con una bellissima moglie. La madre capì che era quello il tesoro destinato a suo figlio, e non considerò nemmeno la possibilità che suo figlio potesse rifiutare un tale tesoro, e anche se pensava che presto se ne sarebbe andata da questo mondo, le bastava sapere che il suo unico figlio avrebbe avuto una vita felice.

Ma il fratello della nobildonna era pieno di gelosia e di rabbia. Non voleva che un povero contadino potesse far parte della famiglia. Cercò di convincere la sorella ad adottare il “matrimonio notturno”, così che il suo innamorato non avrebbe veramente fatto parte della famiglia, e lui, il fratello, sarebbe stato il tutore legale dei figli della sorella ed eredi del casato.

Ma la fanciulla fu irremovibile, e le nozze furono celebrate ufficialmente. Allora il fratello meditò l’uccisione del cognato e ci riuscì, pare spaventando il suo cavallo e facendolo cadere. Il ragazzo si spezzò l’osso del collo e morì sul colpo.

La madre capì che il giovane non era morto per una disgrazia, e meditò vendetta. Dicono che riuscì ad avvelenare l’assassino del figlio, pare con l’aiuto e il benestare della vedova, che tra l’altro aspettava un figlio, e temeva per il futuro del nascituro.

Quando il fratello morì, la vecchia fu accusata della sua morte, fu processata e condannata alla decapitazione.

Prima di morire, qualcuno che sapeva tutta la storia della profezia della Fata, le chiese se non aveva il rimpianto di avere voluto sapere la verità dalle Fate, dato che se non fosse andata da loro non avrebbe fatto nessuna differenza nelle scelte sue e di suo figlio.

Lei rispose così: “quando si chiede a una Fata di predire il futuro, bisogna dare più attenzione a quello che non dice, che a quello che dice”».

«E che cosa vuole dire, questo?».

«Vuole dire che la Fata senz’altro non le aveva detto che il figlio sarebbe stato ucciso dopo aver trovato la sua fortuna, ma non le aveva neanche detto che avrebbe avuto una vita felice. Le aveva detto solo “che avrebbe avuto una vita come tante altre fino a quando non avesse trovato un tesoro”. Le aveva detto una cosa ambigua, che poteva essere letta in diversi modi. Poteva essere una promessa, e nello stesso tempo una minaccia.

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