Poi, mentre guardava incantato quella visione incredibile,
sentì le grida. Non erano grida umane, parevano grida di uccelli ma con
qualcosa di vagamente umano, e ripetevano un suono acuto, che suonava come
“tekeli-li”. Poi li vide, che volavano a stormi nel cielo rosso e purpureo
sopra di lui, verso la montagna dalle sette balze.
Erano enormi uccelli che sembravano essere gabbiani,
bianchissimi, ma con il becco e le zampe di un rosso sangue.
Poi guardò di nuovo verso il basso, verso la pianura, e vide
una figura umana che gli si avvicinava. Un uomo molto alto e possente, con una
folta capigliatura e una grande barba nere, che avanzava vestito di poveri abiti
invernali e grigi e con un bastone in mano. Sembrava un Gigante, ma non era
altrettanto alto.
A quel punto Velthur cominciò a sentire di nuovo l’angoscia
e il terrore pervaderlo più che mai. Mentre quell’uomo avanzava, sentì un
orrendo presentimento, come se la vera minaccia fosse rappresentata proprio da
lui.
Lo sconosciuto si fermò proprio di fronte a lui, fissandolo
con i suoi grandi occhi scurissimi, neri come la sua barba e i suoi capelli,
che contrastavano sinistramente con il suo colorito pallidissimo, di un
biancore quasi lunare, cadaverico. Il bianco pallore del terror panico.
E l’uomo parlò fra le grida degli uccelli, e disse una frase
senza senso.
«Loro non possono raggiungerci, a meno che non siamo noi a
volerlo. Dobbiamo sorvegliare che nessuno li lasci entrare. Sempre. È questa la
legge che ci governa».
Non appena ebbe finito di parlare, dietro di lui, proprio
alle sue spalle, emerse dal basso un’altra figura, nera, gigantesca,
indistinta, una sorta di fantasma nero con due grandi occhi rossi e tondi,
luminosi come braci ardenti, dalle cui spalle si aprirono due enormi ali nere.
A quel punto Velthur lanciò un urlo, e crollò a terra di
fronte all’entrata.
CAP. XIII: LE TRE MADRI DEL FATO
Velthur era furioso. Non tanto contro Sethir, ma contro se
stesso. La curiosità aveva avuto la meglio sul suo buon senso, e aveva bevuto
quella roba senza avere la minima idea di cosa stava assumendo.
Quella gente ignorante che viveva in quella zona depressa
del paese finiva con l’avvelenarsi con porcherie fatte con erbe intossicanti e
frutto di fermentazioni nocive, e i visitatori dovevano stare attenti a non
assumere le loro pessime abitudini.
Il peggio era che spesso tutto questo aveva delle
giustificazioni religiose. Colpa delle streghe, le sciamane di campagna che
assumevano sostanze allucinogene per avere contatti e rivelazioni dal mondo
degli spiriti della natura e da quello degli spiriti dei defunti. Così la gente
si intossicava poco per volta, sviluppava malattie e spesso finiva per
impazzire.
Quando si era svegliato, era notte fonda e si era ritrovato
in un letto, con una delle donne più giovani della famiglia che lo stava
vegliando, e che dopo avergli chiesto come si sentiva, si scusò con lui per suo
zio.
«Mio zio Sethir offre sempre un calice di vino fatato agli
ospiti. In genere li rende allegri, non si aspettava che vi facesse tanto male.
Nessuno è mai caduto a terra svenuto con una sola coppa, come è successo a voi.
In genere, ce ne vogliono almeno due, e lui non permette mai che nessun ospite
arrivi a tanto E poi quell’urlo spaventoso che avete lanciato prima di cadere….
ci siamo veramente spaventati tutti. Siete sicuro di sentirvi bene, adesso?».
«A parte un notevole mal di testa, mi sento bene. Ho anche
fame. Magari se mangio qualcosa, il mal di testa mi passa».
«Venite, allora. Vi preparo qualcosa da mangiare. Gli altri
sono andati quasi tutti a letto, ormai».
La ragazza, che si chiamava Harali, gli preparò una zuppa di
legumi, cereali e pollo e delle fette di pane nero che effettivamente gli fecero
passare il mal di testa.
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