domenica 20 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 254° pagina.


ciascuna da un unico blocco di pietra, estratto da enormi cave di pietra nelle montagne. Nessuno sa come abbiano fatto gli Iubariti a trasportare quelle immense rocce scavate e scolpite fino alla città.

Del grande popolo che costruì quella città e il suo impero, sono rimasti solo poveri villaggi di pescatori sulla costa dell’isola e ancora più povere tribù di nomadi che vagano nel deserto. Però molti nostri navigatori mercanti si recano lì per comprare spezie, tessuti e sostante alchemiche ricavate dalle miniere e dalle cave nelle montagne.

Ogni tanto ci vanno anche alcuni studiosi, per cercare di scoprire i segreti dell’antica civiltà di Iubar, per raccogliere narrazioni degli indigeni sui tempi antichi. Uno dei miei sogni da giovane era di potermici recare anche io….».

«E perché non ci siete andato?».

«Non avevo i pentacoli, bambino mio! Per viaggiare bisogna o diventare marinai o pagarsi il viaggio».

«Oh…. forse mi piacerebbe fare il marinaio, allora…. e quelle strane figure alate che volano là in cielo, vicino alla luna, che cosa sono?».

«Sono i Geni dell’isola di Edan Synair, gli antichi Elfi della Luce. Secondo la leggenda il centro del loro antico impero si trovava in quella grande isola, e secondo le tradizioni locali alcuni di loro ci vivrebbero ancora, nascosti nel deserto e sulle montagne. Ma forse sono solo leggende, e in realtà i Geni si sono estinti da lungo tempo. Che si sappia, nessuno dei nostri esploratori dice di averli incontrati, anche se alcuni raccontano strane storie su quello che hanno visto nel Deserto Rosso che si stende su quella grande isola.

Comunque, adesso che hai visto l’illustrazione, puoi andare a casa. Devo ricevere dei pazienti».

«Vi prego, dottore. Solo un’altra illustrazione, poi me ne vado!»

«Va bene, ma solo una! E se continuerai a dimostrare impegno e imparerai bene l’alfabeto, la prossima volta ti permetterò di vedere altre illustrazioni. Saranno i miei premi per la tua buona volontà».

Il dottore sfogliò di nuovo a caso il libro, e sempre casualmente uscì un’illustrazione altrettanto suggestiva, ma dall’aspetto molto più inquietante delle rovine di Iubar, illuminate dalla lune e sorvolate dai misteriosi Geni. Se la prima suggeriva pensieri paurosi, la seconda ne evocava di veramente orribili.

Mostrava l’interno di una grotta gigantesca trasformata in tempio, in fondo alla quale troneggiava una grande statua verde smeraldo, che rappresentava chiaramente una divinità mostruosa.

Si trattava di una donna ricoperta interamente di squame verdi, con sei braccia. Una delle mani impugnava una scimitarra, un’altra uno scettro, la terza un cerchio di metallo, la quarta la testa recisa di un uomo dalla pelle scura, tenendola per i lunghi capelli neri, la quinta un globo, la sesta una scure bipenne.

Alle sei braccia corrispondevano altrettanti seni, enormi, sferici e squamosi come il resto del corpo, con sei stelle dorate al posto dei capezzoli.

Le sue gambe erano due grandi code di serpenti che ondeggiavano a destra e sinistra del suo corpo con ampie anse, e la sua capigliatura era un groviglio di altrettanti serpenti, ma ovviamente molto più sottili. Serpenti cobra, dalla testa a cappuccio. Loraisan, non sapendo che cos’era un cobra, credette che fossero dei mostri metà serpenti e metà piante, con la testa a forma di foglia.

Il volto mostruoso della Dea era a metà strada fra un volto umano e quello di un rettile, con la bocca spalancata e zannuta e una lingua lunghissima, rossa e affusolata che le scendeva fino al petto.

Di fronte alla statua c’era un grande bacile pieno di fuoco, di fronte al quale sacerdoti dalle lunghe vesti color ambra offrivano i corpi di vittime umane decapitate, gettandoli nel fuoco. Lunghe file di teschi riempivano le nicchie scavate nelle pareti della caverna, chiaramente ciò che restava delle teste delle innumerevoli vittime che dovevano essere state sacrificate nel corso degli anni.

La didascalia sotto l’illustrazione diceva: Il Tempio di Umnara, la Grande Dea di Lankar.

Quando il dottore si rese conto di ciò che stava mostrando al bambino, era troppo tardi.

Sono un cretino, si disse. Con tutti i libri che potevo prendere, sono andato a prenderne uno che mostrava anche le barbare tradizioni dei paesi stranieri.

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