martedì 29 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 261° pagina.


Percorse le stradine e i viottoli, e a un certo punto si rese conto che alcune vie assomigliavano a quelle che conosceva, ma che nello stesso tempo erano diverse. Una porta non si trovava dove avrebbe dovuto essere, una lampada perenne non pendeva dal muro in cui era sempre stata appesa.

Trovò anche l’Osteria del Gatto Nero, ma era chiusa e aveva un’insegna completamente diversa. Al posto del gatto nero, sull’insegna c’era un’enorme occhio rosso, e infatti il locale si chiamava Osteria dell’Occhio Rosso. Parlando al buio della notte, sperò che un Demone benevolo gli rispondesse.

«Od ho bevuto veramente troppo, o mi hanno messo qualche cosa nel vino. Che mi abbiano dato il vino delle Fate?».

Cercò di tranquillizzarsi con quell’idea, ma si accorse che gli effetti del vino cominciavano ad attenuarsi e che stava diventando sempre più lucido.

E stava male. Sentiva una forte nausea ed era afflitto da una notevole flatulenza. Temeva di vomitare e magari anche di farsela nelle braghe.

Provò a cercare casa sua, seguendo quella che pareva essere la strada principale, simile e dissimile da quella che conosceva, nella speranza di poterla raggiungere e poter riposare dimenticando quell’assurda allucinazione.

Ma si perse di nuovo, non riuscì a capire dove si trovava, mentre non si vedeva anima viva in nessuno dei vicoli. Fu quasi tentato di bussare a una di quelle porte sconosciute, per trovare rifugio in un posto qualunque, per sentirsi dire che era solo vittima di un’assurda allucinazione.

Ma qualcosa lo distrasse da quel proposito, perché sentì delle voci in lontananza.

Ma non erano voci schiamazzanti, né voci che parlassero. Sembrava un coro di voci maschili che cantasse una sinistra cantilena, e sembrava provenire da un vicolo là vicino.

In fondo al vicolo c’era una piccola piazzetta dove si vedeva la facciata a colonnata di un piccolo tempio, di cui si intravedevano le luci all’interno. Luci di lanterne ad olio, non lampade perenni, come voleva la tradizione quando si trattava di cerimonie religiose.

Prima che Arnith potesse avvicinarsi alla porta del tempio, che era aperta, si profilarono delle figure che uscirono nella piazzetta.

Era una processione di sacerdoti incappucciati, con lunghe tuniche grigio chiaro, color della cenere. Ognuno di loro portava una lanterna rossa in mano, e procedevano a piedi nudi sul selciato della piazza lentamente in una ordinata fila, a capo chino e cantando quella lugubre cantilena che Arnith non aveva mai sentito.

Arnith si sentì ancora più confuso. Sembrava che la fila di sacerdoti celebrasse un rito in commemorazione della morte di Fuflun, ma seguendo una forma sconosciuta. Anche perché erano tradizionalmente le donne a dover piangere la morte di Fuflun per le strade di notte, e non gli uomini.

E la cosa più assurda era che mancava ancora più di una settimana, prima che cominciassero i riti funerari della morte annuale di Fuflun.

Mentre Arnith si domandava se era impazzito e se invece era il mondo ad essere impazzito, decise di seguire la processione, per vedere dove andava. Magari, una volta finito il rito, avrebbe chiesto loro che cosa significava tutto questo.

Sempre che la nausea non lo facesse piegare in due per il vomito.

La processione vagò per un po’ per le strade del villaggio, fino a raggiungere il suo limitare e procedere nella campagna, lungo il fiume in direzione di Sartiuna. Il sentiero per la campagna che stavano percorrendo lo conosceva bene, ma anch’esso appariva diverso.

Lungo il tragitto c’erano come delle pietre miliari, dei piccoli monoliti dalla foggia molto strana, dedicati a una divinità apparentemente sconosciuta. Erano degli obelischi alti un metro e mezzo, larghi e massicci, sulla cui punta a piramide erano scolpiti dei grandi occhi, uno per ogni lato. Lungo i parallelepipedi sottostanti c’erano degli ideogrammi in gran parte sconosciuti, a parte alcuni simboli comuni anche alla religione ufficiale. Si vedevano delle triplici svastiche e dei pentacoli, ma era del tutto assente la croce ansata, che era il simbolo principale e supremo del culto di Sil.
Il sentiero sembrava essere un

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