rammaricò di non avere più al collo la Chiave dei Nani, che in un
eccesso di prudenza aveva voluto riaffidare a Menkhu.
Poco dopo il funerale di Aralar finì, e dalla porta delle
catacombe uscirono prima Axili con l’abito, il copricapo e gli ornamenti di
colore nero e viola, i colori che i sacerdoti indossavano durante i funerali.
Dietro di lei seguì Harali, con il capo velato di nero come una qualsiasi donna
in lutto, con i due contadini con i cappelli abbassati. Harali non lo degnò
neanche di uno sguardo, quando gli passò davanti.
Quando si furono allontanati, entrò nella necropoli a sua
volta. Non aveva voluto partecipare al funerale, perché la tensione che si era
creata con Harali era per lui insopportabile, ma non avrebbe mai rinunciato a
vedere la sua tomba. Era un bisogno irrazionale che doveva soddisfare
assolutamente.
Le sale dove si trovavano i sarcofagi dei sacerdoti erano
proprio le ultime in fondo alla galleria da cui si diramavano i diversi
corridoi e le diverse cripte dove erano sepolte generazioni e generazioni di
abitanti di Arethyan e delle campagne intorno, i più poveri in semplici nicchie
chiuse da lastre di pietra, i più ricchi dentro lussuosi sarcofagi trasparenti
e immersi nel liquido imbalsamante che li preservava per millenni. Ma tutti,
ugualmente illuminati dalle lampade perenni che rischiaravano giorno e notte
quei luoghi che tutto erano, fuorché oscuri.
E in effetti di fronte all’arco d’entrata della necropoli,
come di tutti i cimiteri sotterranei del Veltyan, campeggiava la scritta:
Splenda ad Essi la Tua Luce
Perpetua, o Nostra Signora Madre della Vita.
I sacerdoti di
Arethyan e i loro parenti erano disposti in una serie di file dentro tre vaste
camere, affrescate con scenari del Cielo Etereo, il regno “oltre le stelle” in
cui i Thyrsenna credevano di andare dopo il trapasso se avevano avuto una vita
virtuosa e ossequiente al culto di Sil.
I sarcofagi trasparenti scintillavano meravigliosamente per
le lampade perenni poste ai piedi dei defunti, anch’esse immerse nel liquido, e
circondati da scene di palazzi e giardini celesti, di montagne trasparenti dove
le stelle splendevano in pieno giorno, con spiriti beati intenti a godersi la
vita eterna più o meno come si erano goduti la vita terrena, ma con piaceri
moltiplicati per cento, mentre le figure degli Dei, avvolti di luce
sfolgorante, sedevano sui loro troni d’oro e gioielli.
I corpi, perfettamente conservati, sembrava che dormissero.
I cimiteri dei Thyrsenna non dovevano avere nulla di
lugubre, perché il culto dei defunti non doveva nutrirsi di tristezza e
terrore, tanto che le necropoli apparivano quasi più allegre delle case dei
viventi.
L’ultima delle tre sale era quella dell’influente famiglia
dei Kalpur, che da parecchie generazioni gestiva il Tempio di Sil di Arethyan.
Aralar era stato sepolto là, come altri sacerdoti amici della famiglia.
Ma il suo sarcofago era diverso dagli altri, e posto in un
angolo, come a indicare la sua diversità, e quasi rivelando una certa vergogna
di averlo posto là, assieme a personaggi della cui compagnia non era degno.
Il suo sarcofago inoltre non era di puro e trasparente vetro
alchemico, ma era dipinto di una lacca bianca, chiaramente per non far vedere
l’orribile stato dei resti del defunto.
Forse, con il passare dei secoli la lacca avrebbe cominciato
a creparsi e scollarsi, e avrebbe lasciato vedere l’interno. E chissà se per
allora si sarebbero ancora ricordati dello strano caso dell’eremita di Monte
Leccio, e sarebbe stata una sorpresa, per i lontani posteri, vedere come era
ridotto quel corpo.
Velthur rimase in contemplazione del sarcofago qualche
minuto, poi cominciò a parlargli:
«Se mi puoi sentire, ti dico con tutta convinzione che non mi sento in
colpa per quello che ho fatto, non più, almeno. Non dopo aver parlato con
Harali, la donna che tu hai irretito, la donna che forse hai corrotto,
spingendo anche lei sulla tua strada. Se sono stato io a provocare la tua
morte, non me ne pento, perché dimostra che stavi giocando con forze che
dovrebbero essere lasciate dove sono.
Nessun commento:
Posta un commento