lunedì 21 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 255° pagina.


Richiuse il libro di scatto.

«Scusa, questa è una cosa che i bambini piccoli come te sarebbe meglio che non vedessero».

«Era un tempio di una Dea barbara, vero? Con sacrifici umani?».

«Cosa ne sai tu di sacrifici umani?».

«Prukhu una volta mi ha raccontato che nei paesi del Nord, oltre le montagne, i sacerdoti dei barbari compiono sacrifici umani, sgozzando le vittime e poi ne bruciano i corpi, offrendoli ai loro Dei. Alcuni non li bruciano, ma li cucinano per poi mangiarli in grande feste sacre. Quella figura sembrava uguale alle storie di Prukhu…».

«Ah, belle storie che ti racconta Prukhu! Beh, in ogni caso io sono contrario a far vedere ai bambini immagini del genere, quindi la prossima volta starò più attento alle illustrazioni che ti farò vedere».

Loraisan sorrise.

«Se sapeste che razza di storie mi racconta Prukhu… molto peggio di quell’illustrazione!».

«Ah, buono a sapersi! E allora quell’illustrazione ti sembra che mostri qualcosa di bello?».

«No, anzi. Mi fa paura. Quella Dea è davvero mostruosa. Chissà quali cose spaventose succedono in quel tempio. Posso sapere dove si trova?».

«No, per il momento non puoi. Ora va, che devo anche sbrigarmi!».

Quando Loraisan fu uscito, Velthur lo seguì con lo sguardo dalla finestra. Notò che il bambino si guardava intorno come se avesse paura del mondo circostante, muovendosi con movimenti rigidi e impacciati.

Non era un bambino normale, quello era sicuro. Ma quanto non lo fosse, probabilmente ci sarebbe voluto molto tempo per capirlo. Forse si sarebbe dovuto aspettare che divenisse un adulto, se mai lo fosse divenuto. Appariva così magro e fragile….. appariva. Ma chissà perché, Velthur aveva la sensazione che fosse solo un apparenza, che Loraisan avrebbe riservato delle sorprese anche col suo corpo .

Tornato a casa, Syndrieli gli chiese come fosse andata dal dottore, facendogli molte domande, e il bambino le rispose con lunghi discorsi.

Parlò anche delle illustrazioni del libro sui paesi stranieri, e le disse che il dottore si era dispiaciuto di fargliela vedere, perché diceva che non bisognava far vedere ai bambini cose che li spaventassero, non capiva perché.

«Forse perché tu ti spaventi già troppo per niente. Forse aveva paura che ti venissero gli incubi. Comunque l’importante è solo che tu impari a leggere e scrivere. Tutto il resto non ha importanza».

Quando fu il momento per Loraisan di andare a letto, si accorse che sua madre aveva ragione. Forse il dottore voleva proteggerlo dagli incubi.

Si accorse di pensare alla Dea-Serpente delle terre del lontano Oriente.

Si domandò quale fosse il paese in cui quella Dea regnava, e quali terribile cose potevano succedere in quella terra barbara e selvaggia di cui non conosceva ancora neanche il nome.

E mentre giaceva nel letto, guardando la finestra da dove penetrava un vago chiarore attraverso i vetri, si domandò se lo spirito di quell’oscura divinità potesse vagare nella notte sopra paesi e città, e manifestarsi con immagini terrificanti e sciagure spaventose anche nel Veltyan, magari evocata ed attirata da chi ha rivolto il pensiero a lei.

Loraisan, guardando il buio, sentì il timore che la Dea-Serpente potesse comparirgli davanti, facendolo morire di paura, o scagliando su di lui e su tutta la sua famiglia una spaventosa maledizione.

Il terrore della Presenza Invisibile lo attanagliò di nuovo, come tante altre notti in cui non riusciva a dormire, e rimaneva ad ascolare il silenzio, o il tenue respirare di suo fratello e di sua sorella più grandi, sperando che si svegliassero per un qualsiasi motivo, e lo togliessero da quel senso di indifesa solitudine in cui si sentiva imprigionato.

Rimanere soli nel silenzio della notte, aspettando invano il sonno, era come rimanere soli nel chiuso di una tomba, come sepolti vivi.

E quando alla fine si addormentò, dovette poi subìre uno dei suoi incubi.

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