portando maschere di caprone in volto, fare scherzi di ogni
tipo. Un caprone nero veniva portato per il paese ornato e agghindato come un
re, per rappresentare Fuflun.
Dopo i quattordici giorni tutti i festeggiamenti goderecci
terminavano, e il caprone nero veniva rinchiuso nel tempio di Fuflun, che era
di regola un ipogeo scavato presso i cimiteri. Perché Fuflun, essendo un Dio
della terra e della rinascita, era anche un Dio dell’aldilà e degli spiriti dei
defunti.
In quel periodo di tempo l’animale veniva considerato
“morto”, e tutto il paese lo piangeva come se fosse veramente morto, vestendo
di nero e portando il lutto.
Per gli altri quattordici giorni del mese dei Pesci, non si
beveva più vino né altra bevanda alcoolica, non ci si vestiva più in modo
elegante o vistoso o stravagante, si mettevano via tutti gli orpelli, e
addirittura processioni di donne piangenti e vestite di grigio e nero giravano
la sera per paesi e campagne spargendo cenere sulle strade e i sentieri, ceneri
che venivano considerate “le ceneri di Fuflun”.
Solo a Capodanno il caprone nero veniva liberato e di nuovo
ornato con corone di fiori, le sue corna e i suoi zoccoli venivano dipinti con
una tintura dorata, dopodiché veniva portato in trionfo per il paese da un’ampia
processione festosa a cui partecipava tutto il popolo, celebrando la
resurrezione di Fuflun tornato tra gli Uomini.
Il perché di tutto questo rituale era fondato su un antico
mito che proveniva dalla notte dei tempi, da ancora prima del Diluvio, dalla
dimenticata notte dei tempi in cui le città degli Uomini non esistevano, prima
del dominio dei Giganti.
Secondo questa leggenda, Fuflun era comparso sulla Madre
Terra sorgendo dal sottosuolo, sotto forma di fanciullo, insegnando agli Uomini
i segreti dell’agricoltura e in particolar modo la coltivazione della vite e la
fermentazione del succo d’uva.
Molto tempo dopo, i Giganti, invidiosi dei doni che Fuflun
aveva fatto agli Uomini, cercarono di carpire i suoi segreti, facendo finta di
voler diventare suoi amici.
Fuflun offrì loro il suo vino, e i Giganti si ubriacarono,
diventando completamente pazzi. Lo inseguirono per ucciderlo, e lui per
sfuggire loro si trasformò in caprone nero, per confondersi con le ombre della
notte.
Ma i Giganti lo trovarono in una profonda caverna, lo
uccisero, lo fecero a pezzi, ne cucinarono e mangiarono la carne e poi si
addormentarono.
Ma Tinian, il Dio dei Venti e delle Tempeste, padre di
Fuflun, li punì incenerendoli con i suoi fulmini.
Sul mondo degli Uomini calò la morte dell’inverno. La terra
non dava più frutti né fiori, gli alberi persero le foglie, gli animali caddero
nel letargo perenne, il sole perse il suo splendore, il cielo era sempre
coperto dalle nuvole. Vita e luce fuggirono dal mondo.
La disperazione invase gli Uomini, e le donne piangevano la
morte del Dio della Vita, che era scomparso dal mondo.
Ma una di loro, una giovane vergine, raccolse le ceneri dei
Giganti, che erano mescolate con quelle del Dio che avevano divorato.
La fanciulla le raccolse in un’urna a forma di uovo, che
seppellì nel suo campo, e poi prese ad innaffiare regolarmente la terra sopra
di essa.
Presto spuntò un germoglio di pino, che crebbe a
straordinaria velocità. E dai rami spuntarono delle strane pigne a forma di
uovo, tutte di colore grigio cenere, fuorché una che era dorata.
La fanciulla raccolse la pigna dorata e se la portò a casa,
poi si addormentò con lo strano frutto tra le braccia, scaldandolo con il suo
corpo.
La mattina dopo la fanciulla si risvegliò e vide i frammenti
del guscio dorato della pigna, che in realtà era un uovo. Accanto a lei giaceva
nel sonno un grande capro nero dalle corna e dagli zoccoli d’oro. Quando egli si svegliò, assunse l’aspetto di
un bel giovane, e insieme giacquero amandosi un giorno intero.
La vita tornò nel mondo, i fiori sbocciarono e gli alberi
misero le gemme, mentre il sole tornò a splendere.
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