martedì 22 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 256° pagina.


Sognò di essere in un deserto di sabbie e rocce rossastre, di fronte a una grande montagna in cui si apriva una grande caverna. Lui stava di fronte all’apertura della grotta, da cui sentiva provenire come dei bisbigli, delle voci mormoranti, canti e risa, e altre voci che chiamavano il suo nome.

Una forza lo sospingeva verso l’imboccatura della grotta, che era completamente buia. Era terrorizzato dall’idea di entrare in tutto quel buio dove, lui ne era sicuro, lo aspettava la terribile Dea-Serpente e i suoi sacerdoti sanguinari. Guardava il buio aspettando che l’apparizione mostruosa comparisse, ma non appariva. Poi alla fine si mise a urlare nel sogno, urlare senza fine, con disperazione, fino a quando si svegliò.

Per fortuna, anche il suo urlo era stato un sogno. Nella realtà, lui rimase immobile e silenzioso nel suo letto, fino a quando non si svegliò, vedendo  i primi, rassicuranti chiarori del mattino che filtravano dalla finestra e attenuavano le ombre che tanto lo spaventavano.

Contemporaneamente, il dottor Velthur si svegliò, dopo aver fatto un incubo anche lui. Aveva di nuovo sognato il corpo di Aralar orribilmente smembrato, come già gli era capitato tante altre volte in quei sette anni.

Alzandosi dal letto per recarsi a bere un bicchiere di latte in cucina, guardò fuori dalla finestra della sua camera da letto, per vedere se il tempo era bello.

Era l’inizio del mese dei Pesci, l’ultimo mese dell’anno prima dell’inizio di primavera. Perché il capodanno dei Thyrsenna cadeva nell’equinozio di primavera, come per molti altri popoli di Kellur. Le giornate ormai avevano cominciato da tempo ad allungarsi sensibilmente.

Mentre guardava il cielo, fu attirato dai bassi monti delle regioni pedemontane ad oriente, di fronte alla bianca catena innevata delle Montagne della Luna. Notò, visibilissima, una luce rossa e tremolante, che si spostava sul fianco boscoso di quel monte. Doveva essere uno di quelli non lontani da Monte Leccio.

Velthur osservò a lungo la luce scarlatta muoversi sulle cime piatte e larghe, lentamente ma costantemente, fino a quando non scomparve all’improvviso, spegnendosi dopo aver mandato un ultimo bagliore fulgentissimo.

Dopo che fu scomparsa, il dottore rimase ancora a osservare per qualche tempo i monti, mentre l’aurora avanzava.

Alla fine si staccò dalla finestra, sospirando.

«È ricominciata. La Tregua dell’Ignoto è finita»







CAP. XXII: LA PORTA SUL VERDE CREPUSCOLO



Il mese dei Pesci, tredicesimo e ultimo mese dell’anno thyrseniakh, era dedicato a Fuflun, o Baker Belz, il Gran Dio Cornuto, il Grande Capro Nero, uno dei principali Dei dei Thyrsenna, anche se non era fra le divinità più importanti adorate dalla classe dei kametheina.

Ma era una divinità molto amata dai contadini, oltre che essere il Dio dei Sileni, e la sua festa era molto importante per la gente dei villaggi e delle montagne.

Fuflun era il Dio del vino, dei boschi, della primavera. Simboleggiato da un grande e possente caprone nero dalle corna e dagli zoccoli d’oro, era il Dio della Rinascita e l’archetipo della vita indistruttibile, dell’eterno ciclo di morte e rinascita della Natura.

Le festività duravano tutti i ventotto giorni del mese, e si concludevano il giorno di Capodanno, all’equinozio di primavera, quando si celebrava la resurrezione di Fuflun.

Erano i Tinsina Fuflunal, i Giorni di Fuflun.

Le celebrazioni si svolgevano in un modo curioso.
I primi quattordici giorni del mese erano dedicati a ogni sorta di gozzoviglia, e in particolar modo al consumo di vino novello, birra, sidro e idromele. In quei giorni ci si dava a ogni follia: era permesso cantare e schiamazzare per la strada in piena notte, vestirsi in modo colorato e stravagante, lavorare

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