Sognò di essere in un deserto di sabbie e rocce rossastre,
di fronte a una grande montagna in cui si apriva una grande caverna. Lui stava
di fronte all’apertura della grotta, da cui sentiva provenire come dei
bisbigli, delle voci mormoranti, canti e risa, e altre voci che chiamavano il
suo nome.
Una forza lo sospingeva verso l’imboccatura della grotta,
che era completamente buia. Era terrorizzato dall’idea di entrare in tutto quel
buio dove, lui ne era sicuro, lo aspettava la terribile Dea-Serpente e i suoi
sacerdoti sanguinari. Guardava il buio aspettando che l’apparizione mostruosa
comparisse, ma non appariva. Poi alla fine si mise a urlare nel sogno, urlare
senza fine, con disperazione, fino a quando si svegliò.
Per fortuna, anche il suo urlo era stato un sogno. Nella
realtà, lui rimase immobile e silenzioso nel suo letto, fino a quando non si
svegliò, vedendo i primi, rassicuranti
chiarori del mattino che filtravano dalla finestra e attenuavano le ombre che
tanto lo spaventavano.
Contemporaneamente, il dottor Velthur si svegliò, dopo aver
fatto un incubo anche lui. Aveva di nuovo sognato il corpo di Aralar
orribilmente smembrato, come già gli era capitato tante altre volte in quei
sette anni.
Alzandosi dal letto per recarsi a bere un bicchiere di latte
in cucina, guardò fuori dalla finestra della sua camera da letto, per vedere se
il tempo era bello.
Era l’inizio del mese dei Pesci, l’ultimo mese dell’anno
prima dell’inizio di primavera. Perché il capodanno dei Thyrsenna cadeva
nell’equinozio di primavera, come per molti altri popoli di Kellur. Le giornate
ormai avevano cominciato da tempo ad allungarsi sensibilmente.
Mentre guardava il cielo, fu attirato dai bassi monti delle
regioni pedemontane ad oriente, di fronte alla bianca catena innevata delle
Montagne della Luna. Notò, visibilissima, una luce rossa e tremolante, che si
spostava sul fianco boscoso di quel monte. Doveva essere uno di quelli non
lontani da Monte Leccio.
Velthur osservò a lungo la luce scarlatta muoversi sulle
cime piatte e larghe, lentamente ma costantemente, fino a quando non scomparve
all’improvviso, spegnendosi dopo aver mandato un ultimo bagliore fulgentissimo.
Dopo che fu scomparsa, il dottore rimase ancora a osservare
per qualche tempo i monti, mentre l’aurora avanzava.
Alla fine si staccò dalla finestra, sospirando.
«È ricominciata. La Tregua dell’Ignoto è finita»
CAP. XXII: LA PORTA SUL VERDE CREPUSCOLO
Il mese dei Pesci, tredicesimo e ultimo mese dell’anno
thyrseniakh, era dedicato a Fuflun, o Baker Belz, il Gran Dio Cornuto, il
Grande Capro Nero, uno dei principali Dei dei Thyrsenna, anche se non era fra
le divinità più importanti adorate dalla classe dei kametheina.
Ma era una divinità molto amata dai contadini, oltre che
essere il Dio dei Sileni, e la sua festa era molto importante per la gente dei
villaggi e delle montagne.
Fuflun era il Dio del vino, dei boschi, della primavera. Simboleggiato
da un grande e possente caprone nero dalle corna e dagli zoccoli d’oro, era il
Dio della Rinascita e l’archetipo della vita indistruttibile, dell’eterno ciclo
di morte e rinascita della Natura.
Le festività duravano tutti i ventotto giorni del mese, e si
concludevano il giorno di Capodanno, all’equinozio di primavera, quando si
celebrava la resurrezione di Fuflun.
Erano i Tinsina Fuflunal, i Giorni di Fuflun.
Le celebrazioni si svolgevano in un modo curioso.
I primi quattordici giorni del mese erano dedicati a ogni sorta di
gozzoviglia, e in particolar modo al consumo di vino novello, birra, sidro e
idromele. In quei giorni ci si dava a ogni follia: era permesso cantare e
schiamazzare per la strada in piena notte, vestirsi in modo colorato e stravagante,
lavorare
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