mercoledì 30 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 262° pagina.


Il sentiero sembrava essere un tragitto sacro, come ce ne n’erano anche nella religione ufficiale, ma con simboli e caratteri del tutto nuovi.

Arnith non aveva la minima idea di quale fosse l’ordine di sacerdoti a cui appartenevano le strane figure incappucciate.

Notò inoltre che i piedi e le mani dei sacerdoti, che erano le uniche parti del loro corpo che si potevano vedere, erano di un biancore spettrale, innaturale, esangue.

Mentre procedeva nella campagna, l’uomo cominciò a domandarsi se per caso stesse seguendo una processione di fantasmi provenienti da un lontano e oscuro passato.

La luna stava ormai tramontando, color rosso sangue, quando la processione arrivò alla sua meta: un cerchio di monoliti lungo la riva dell’Eydin.

I monoliti del cerchio erano più alti, ed erano in realtà delle statue stilizzate. Rappresentavano delle grandi figure umane con le mani incrociate sul ventre, ma con una strana particolarità: al posto della testa avevano un grande occhio, un gigantesco bulbo oculare con tanto di palpebre e ciglia che spuntava dal collo come un mostruoso fungo sferico.

Al centro del cerchio c’era una specie di altare cilindrico, basso e largo, sui cui bordi esterni c’erano altri ideogrammi e l’ossessivo simbolo del grande occhio.

Quello che avevano di strano quegli occhi scolpiti, era che non apparivano essere occhi né umani né di alcun altro essere. Non avevano iride, e la pupilla era puntiforme, piccolissima.

I sacerdoti si raccolsero in cerchio fra l’altare e il cerchio di monoliti, e fu allora che, continuando a cantare, si tolsero i cappucci uno per uno.

La paura e lo sconcerto di Arnith si mutarono subito in terrore. Non poteva credere a quello che vedeva, perché i sacerdoti non potevano essere umani, né di alcuna altra stirpe conosciuta di Kellur.

Apparentemente erano tutti maschi, e i loro volti avevano tratti umani, anche se molto singolari. Ma la somiglianza non andava più in là.

Privi di capelli, avevano orecchie piccole e ovali dalla forma mai vista, e la loro pelle era bianchissima, di un biancore quasi fosforescente. Arnith ebbe l’impressione che la loro pelle e la loro carne fossero semitrasparenti, come vetro smerigliato.

Ma quel che era peggio, erano i loro occhi, anch’essi fosforescenti, ma di un rosso sangue, enormi, con delle pupille quasi invisibili. Come enormi gocce di sangue che sporgessero dalle loro orbite.

Uno ad uno i sacerdoti si tolsero i cappucci fino a quando rimase incappucciato solo il primo di essi, quello che aveva condotto la processione. Tese le mani in avanti verso l’altare. In una mano aveva un globo argenteo, nell’altra quello che sembrava uno scettro rituale.

Nel momento in cui appoggiò il globo e lo scettro sull’altare, si tolse anche lui il cappuccio.

Quello che aveva sotto il cappuccio non era una testa. Era la stessa cosa che avevano le statue attorno.

Era un enorme occhio rosso, grande come un’anguria, avvolto da due grandi palpebre bianche che erano tutt’uno con la pelle del collo. Niente bocca, niente orecchie, niente naso né altri lineamenti, solo l’occhio enorme, scarlatto, con una pupilla puntiforme.

A quel punto Arnith, che guardava a distanza dal sentiero, non poté trattenere un gemito di orrore.

Fu solo in quel momento che la processione di sacerdoti si accorse di lui, e si voltarono tutti nella sua direzione.

Arnith si vide tutti quegli occhi rossi puntati addosso, e in mezzo quell’unico occhio enorme. Identico a quelli di tutti gli altri, ma enormemente più grande.

Poi successe qualcosa di altrettanto inspiegabile.

Vedendolo, tutti i sacerdoti si misero a urlare. Spalancarono la bocca lanciando urla disumane, laceranti, di orrore puro.

Alcuni gridavano “abominio!” ripetendo la parola più e più volte.

Ma non era finita, il sacerdote con la testa ad occhio estrasse un coltello anch’esso argenteo come il globo rituale.

Arnith non ebbe dubbi che gli si sarebbero scagliati contro e che il loro mostruoso capo l’avrebbe accoltellato a morte, ma la cosa non avvenne.

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