domenica 27 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 260° pagina.


«Cosa dici tu, Nostro Signore delle Viti, di questa gente che a parole ti venera e ti ringrazia per i doni che hai fatto agli Uomini? Ti sembrano degni di questo? Ce l’hai su con me perché ho abbandonato il tuo culto? Credi che non ti voglia più bene, per questo? È che avevo paura, capisci? All’inizio andare al belk mi piaceva, mi divertiva, mi eccitava.

Era il gusto del proibito, era il piacere di fare qualcosa che dispiaceva ai kametheina che blaterano contro il vino drogato e l’ubriachezza, contro le orge e il delirio delle visioni, contro le pratiche magiche, e che poi magari fanno quelle stesse cose di nascosto, nel buio dei campi e dei boschi.

Mi piaceva tutto questo, il riunirsi nella notte sotto la luce della luna piena, in un luogo segreto e nascosto, il danzare nudi con Sileni e Fate, l’urlare e l’ubriacarsi fino a cadere a terra, e poi ascoltare il sacerdote con la maschera di caprone e la sacerdotessa con la maschera a tre facce, che parlavano dei Tuoi Misteri e di quelli della Tua Sposa, la Dea Trifronte.

Era bello percepire il proprio spirito staccarsi dal corpo sotto l’effetto del vino delle Fate, e volare lontano, sopra i boschi e i campi, assieme agli altri spiriti della notte, verso le porte dell’Aisedis, per riceverne le rivelazioni.

Era bello…. fino a quella notte maledetta, in cui vidi ciò che non avrei mai voluto vedere. Quella luce rossa…. Quella maledetta luce rossa che usciva da quella porta nel cielo…. e dall’altra parte…. dall’altra parte…..».

Non proseguì. Si mise a piangere.

«Ho dovuto smettere, capisci?» urlò alla statua del Dio fra le quattro colonnine dell’edicola.

La statua rappresentava Fuflun nella sua forma di anziano Sileno avvinazzato e gaudente, con la coppa di vino in mano e le corna dorate di capro che gli uscivano dalla testa incoronata da raggi argentei. 

La faccia rotonda e ridente del Dio del Vino, con i sinistri occhi a mandorla, obliqui, sembrava beffarlo.

«Ho dovuto smettere perché avevo paura di dover rivedere quelle cose! Le rivedevo nei miei incubi, le scorgevo nelle ombre della notte, vivevo nel terrore! Ti ho pregato di liberarmi da tutto questo, ma non mi hai ascoltato! Sembrava quasi che tu volessi che tornassi a rivedere ciò che non volevo vedere mai più! Quante me ne hai fatte, Dio dell’Ebbrezza e del Terrore.

E l’ultimo tiro che mi hai giocato, è stato subito dopo averle viste quella notte, dovendomi svegliare chissà dove, in un luogo sconosciuto, come se avessi veramente volato con il mio corpo anziché con il solo spirito! Dover convivere con il terrore che se avessi partecipato a un altro belk, mi sarei ritrovato chissà dove, in un luogo dimenticato dagli Dei e sconosciuto agli Uomini, nudo e indifeso. Ho camminato nel bosco per un giorno intero, prima di ritrovare la strada di casa, ho rischiato di morire per causa tua!

E allora ho dovuto lasciarti! Ho mantenuto la promessa, non ho rivelato a nessuno i Tuoi Misteri. E ogni anno ti faccio offerte per farti capire che ti amo ancora, che non ti ho veramente abbandonato. Sei tu che hai abbandonato me! O meglio, mi hai costretto ad abbandonarti! Quindi non puoi rimproverarmi niente!».

Poi si abbandonò di nuovo contro l’edicola, quasi come a cercare di ritrovare il vecchio contatto con la divinità che aveva perso tanti anni addietro.

Rimase là un po’ di tempo, poi si accorse di non sentire più gli schiamazzi delle vie, neanche in lontananza. Sembrava quasi che improvvisamente fossero tutti tornati a casa a dormire.

Incuriosito, si alzò da terra e si incamminò barcollando verso la strada principale del villaggio. Ma quando uscì dal vicolo, si accorse di non riconoscere la strada in cui si trovava. Era assurdo, ma non si ricordava di aver mai visto quella via, nel villaggio di Arethyan. Il che era impossibile. Quel che era peggio, era che non si vedeva anima viva nelle strade. Tutte le finestre erano buie, non si vedeva una luce dietro i vetri. Più che addormentato, il villaggio sembrava deserto. Infatti alcune case avevano le finestre e le porte sbarrate, come se fossero state chiuse dopo essere rimaste abbandonate.

Impaurito, Arnith si aggirò per le vie, alla ricerca di qualcosa di familiare, che non trovava.

Nessun commento:

Posta un commento