«Cosa dici tu, Nostro Signore delle Viti, di questa gente
che a parole ti venera e ti ringrazia per i doni che hai fatto agli Uomini? Ti
sembrano degni di questo? Ce l’hai su con me perché ho abbandonato il tuo
culto? Credi che non ti voglia più bene, per questo? È che avevo paura,
capisci? All’inizio andare al belk mi
piaceva, mi divertiva, mi eccitava.
Era il gusto del proibito, era il piacere di fare qualcosa
che dispiaceva ai kametheina che
blaterano contro il vino drogato e l’ubriachezza, contro le orge e il delirio
delle visioni, contro le pratiche magiche, e che poi magari fanno quelle stesse
cose di nascosto, nel buio dei campi e dei boschi.
Mi piaceva tutto questo, il riunirsi nella notte sotto la
luce della luna piena, in un luogo segreto e nascosto, il danzare nudi con
Sileni e Fate, l’urlare e l’ubriacarsi fino a cadere a terra, e poi ascoltare
il sacerdote con la maschera di caprone e la sacerdotessa con la maschera a tre
facce, che parlavano dei Tuoi Misteri e di quelli della Tua Sposa, la Dea Trifronte.
Era bello percepire il proprio spirito staccarsi dal corpo
sotto l’effetto del vino delle Fate, e volare lontano, sopra i boschi e i
campi, assieme agli altri spiriti della notte, verso le porte dell’Aisedis, per
riceverne le rivelazioni.
Era bello…. fino a quella notte maledetta, in cui vidi ciò
che non avrei mai voluto vedere. Quella luce rossa…. Quella maledetta luce
rossa che usciva da quella porta nel cielo…. e dall’altra parte…. dall’altra
parte…..».
Non proseguì. Si mise a piangere.
«Ho dovuto smettere, capisci?» urlò alla statua del Dio fra
le quattro colonnine dell’edicola.
La statua rappresentava Fuflun nella sua forma di anziano
Sileno avvinazzato e gaudente, con la coppa di vino in mano e le corna dorate
di capro che gli uscivano dalla testa incoronata da raggi argentei.
La faccia rotonda e ridente del Dio del Vino, con i sinistri
occhi a mandorla, obliqui, sembrava beffarlo.
«Ho dovuto smettere perché avevo paura di dover rivedere
quelle cose! Le rivedevo nei miei
incubi, le scorgevo nelle ombre della notte, vivevo nel terrore! Ti ho pregato
di liberarmi da tutto questo, ma non mi hai ascoltato! Sembrava quasi che tu
volessi che tornassi a rivedere ciò che non volevo vedere mai più! Quante me ne
hai fatte, Dio dell’Ebbrezza e del Terrore.
E l’ultimo tiro che mi hai giocato, è stato subito dopo
averle viste quella notte, dovendomi svegliare chissà dove, in un luogo
sconosciuto, come se avessi veramente volato con il mio corpo anziché con il
solo spirito! Dover convivere con il terrore che se avessi partecipato a un
altro belk, mi sarei ritrovato chissà
dove, in un luogo dimenticato dagli Dei e sconosciuto agli Uomini, nudo e
indifeso. Ho camminato nel bosco per un giorno intero, prima di ritrovare la
strada di casa, ho rischiato di morire per causa tua!
E allora ho dovuto lasciarti! Ho mantenuto la promessa, non
ho rivelato a nessuno i Tuoi Misteri. E ogni anno ti faccio offerte per farti
capire che ti amo ancora, che non ti ho veramente abbandonato. Sei tu che hai
abbandonato me! O meglio, mi hai costretto ad abbandonarti! Quindi non puoi
rimproverarmi niente!».
Poi si abbandonò di nuovo contro l’edicola, quasi come a
cercare di ritrovare il vecchio contatto con la divinità che aveva perso tanti
anni addietro.
Rimase là un po’ di tempo, poi si accorse di non sentire più
gli schiamazzi delle vie, neanche in lontananza. Sembrava quasi che
improvvisamente fossero tutti tornati a casa a dormire.
Incuriosito, si alzò da terra e si incamminò barcollando
verso la strada principale del villaggio. Ma quando uscì dal vicolo, si accorse
di non riconoscere la strada in cui si trovava. Era assurdo, ma non si
ricordava di aver mai visto quella via, nel villaggio di Arethyan. Il che era
impossibile. Quel che era peggio, era che non si vedeva anima viva nelle
strade. Tutte le finestre erano buie, non si vedeva una luce dietro i vetri.
Più che addormentato, il villaggio sembrava deserto. Infatti alcune case
avevano le finestre e le porte sbarrate, come se fossero state chiuse dopo
essere rimaste abbandonate.
Impaurito, Arnith si aggirò per le vie, alla ricerca di
qualcosa di familiare, che non trovava.
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