La fanciulla concepì un figlio, che una volta adulto divenne
il primo sacerdote di Fuflun. Il padre gli trasmise le dottrine dei suoi
Misteri, le dottrine sulla vita eterna dell’aldilà e della reincarnazione e lo
svolgersi dei sacri riti.
Dalle altre pigne, rinacquero i Giganti come dalla pigna
d’oro era rinato Fuflun. Esse caddero a terra e si schiusero, ma prima che i
neonati all’interno potessero diventare grandi, Fuflun li catturò e li mise in
gabbia, maledicendoli e dicendo loro che mai e poi mai avrebbero ottenuto il
segreto del vino e che la loro stirpe non avrebbe mai conquistato la Madre
Terra, che sarebbe stata ereditata solo dagli Uomini. Poi li esiliò nel lontano
Occidente.
Così ogni anno, nel mese dei Pesci, le classi più umili del
popolo dei Thyrsenna, festeggiavano prima la venuta di Fuflun su Kellur, e
l’epoca di gioia e di abbondanza che aveva portato. Poi ne piangevano
l’ingiusta morte che aveva portato alla creazione dell’inverno, e infine
all’equinozio ne festeggiavano la resurrezione, con l’inizio di un nuovo ciclo
annuale della vita.
Nel giorno di Capodanno, oltre alla processione con il
caprone inghirlandato, si mettevano sulle tavole uova colorate, simbolo delle
pigne del pino di Fuflun, dipinte in modo da imitare il disegno delle scaglie
delle pigne, ma con colori sgargianti per imitare i colori della primavera.
In quel giorno, inoltre, le ragazze più giovani
partecipavano a una danza amorosa sui campi, in cui invitavano i ragazzi a
ballare con loro, e così sceglievano il compagno per la notte, celebrando il
loro primo “matrimonio notturno”. Assieme a loro potevano esserci donne più
mature, che desideravano cambiare compagno.
Dopo il Capodanno, durante il primo plenilunio dopo
l’equinozio, molti si recavano di nascosto al Grande Belk di Primavera, dove venivano celebrati i Misteri di Fuflun.
I sacerdoti di Sil tolleravano tutto questo, fino a quando
non minacciava la supremazia del culto di Sil e delle sue dottrine.
In un passato lontano, i riti di Fuflun erano divenuti
eccessivi e smodati, e causa di disordini sociali, a tal punto che per un certo
periodo le feste di Fuflun furono proibite. Ma il culto si era così radicato
nel popolo, che non era stato possibile estirparlo, e alla fine si era riusciti
ad arrivare ad un certo compromesso.
I cosiddetti Misteri Minori venivano celebrati in pubblico
come un gioco malizioso, mentre le orge sfrenate dei Misteri Maggiori venivano
celebrati in segreto nel Grande Belk di Primavera, nel buio delle radure dei
boschi. Se nessuno vedeva una cosa, si poteva fare finta che non ci fosse.
L’importante era non dare fastidio all’ordine costituito.
Quando fosse stato introdotto il culto di Fuflun nel
Veltyan, non si sapeva di preciso. Gli storici dicevano che furono i primi
Sileni, provenienti da Oriente più di duemila anni prima, a importare il culto
per primi, dato che era il loro Dio.
Ma in quella non troppo fredda sera dell’inizio dei Pesci,
nessuno dei contadini di Arethyan pensava certo a da dove venisse la tradizione
di quei giorni di festa. Pensavano solo a goderseli.
Ovviamente il Kran Belz, l’Osteria del Gatto Nero, era
sempre pieno di baldoria. Larsin era ritornato da tempo un assiduo
frequentatore del locale, anche se non si ubriacava spesso.
Gli capitava di farlo solo in occasione delle feste di
Fuflun.
Quella sera Larsin, Velthur, Prukhu, Menkhu e Arnith
Gamarran si erano seduti a un tavolo della taverna per bere vino in onore di
Fuflun e conversare del più e del meno, come già avevano fatto un’infinità di
volte.
«Velthur, è vero quello che mi ha raccontato mio figlio,
riguardo la sua prima lezione di scrittura? Ha detto che per sbaglio gli hai
mostrato un’illustrazione di un libro che non volevi che vedesse. Come mai?».
«Era un’illustrazione di un libro di viaggi nei paesi
d’Oriente, e mostrava un tempio dell’isola di Lankar. Era il tempio di una
divinità sanguinaria che esigeva sacrifici umani, dall’aspetto mostruoso.
L’illustrazione mostrava i sacerdoti di questa divinità che compivano i loro
abominevoli sacrifici. Non mi sembra una cosa da mostrare a un bambino».
«E perché? Mio zio mi portò a vedere una decapitazione in piazza nel mio
villaggio natìo quando avevo solo otto anni. Disse che dovevo vedere cosa
succedeva ai briganti e agli assassini. Ricordo
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