giovedì 24 novembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 258° pagina.


La fanciulla concepì un figlio, che una volta adulto divenne il primo sacerdote di Fuflun. Il padre gli trasmise le dottrine dei suoi Misteri, le dottrine sulla vita eterna dell’aldilà e della reincarnazione e lo svolgersi dei sacri riti.

Dalle altre pigne, rinacquero i Giganti come dalla pigna d’oro era rinato Fuflun. Esse caddero a terra e si schiusero, ma prima che i neonati all’interno potessero diventare grandi, Fuflun li catturò e li mise in gabbia, maledicendoli e dicendo loro che mai e poi mai avrebbero ottenuto il segreto del vino e che la loro stirpe non avrebbe mai conquistato la Madre Terra, che sarebbe stata ereditata solo dagli Uomini. Poi li esiliò nel lontano Occidente.

Così ogni anno, nel mese dei Pesci, le classi più umili del popolo dei Thyrsenna, festeggiavano prima la venuta di Fuflun su Kellur, e l’epoca di gioia e di abbondanza che aveva portato. Poi ne piangevano l’ingiusta morte che aveva portato alla creazione dell’inverno, e infine all’equinozio ne festeggiavano la resurrezione, con l’inizio di un nuovo ciclo annuale della vita.

Nel giorno di Capodanno, oltre alla processione con il caprone inghirlandato, si mettevano sulle tavole uova colorate, simbolo delle pigne del pino di Fuflun, dipinte in modo da imitare il disegno delle scaglie delle pigne, ma con colori sgargianti per imitare i colori della primavera.

In quel giorno, inoltre, le ragazze più giovani partecipavano a una danza amorosa sui campi, in cui invitavano i ragazzi a ballare con loro, e così sceglievano il compagno per la notte, celebrando il loro primo “matrimonio notturno”. Assieme a loro potevano esserci donne più mature, che desideravano cambiare compagno.

Dopo il Capodanno, durante il primo plenilunio dopo l’equinozio, molti si recavano di nascosto al Grande Belk di Primavera, dove venivano celebrati i Misteri di Fuflun.

I sacerdoti di Sil tolleravano tutto questo, fino a quando non minacciava la supremazia del culto di Sil e delle sue dottrine.

In un passato lontano, i riti di Fuflun erano divenuti eccessivi e smodati, e causa di disordini sociali, a tal punto che per un certo periodo le feste di Fuflun furono proibite. Ma il culto si era così radicato nel popolo, che non era stato possibile estirparlo, e alla fine si era riusciti ad arrivare ad un certo compromesso.

I cosiddetti Misteri Minori venivano celebrati in pubblico come un gioco malizioso, mentre le orge sfrenate dei Misteri Maggiori venivano celebrati in segreto nel Grande Belk di Primavera, nel buio delle radure dei boschi. Se nessuno vedeva una cosa, si poteva fare finta che non ci fosse. L’importante era non dare fastidio all’ordine costituito.

Quando fosse stato introdotto il culto di Fuflun nel Veltyan, non si sapeva di preciso. Gli storici dicevano che furono i primi Sileni, provenienti da Oriente più di duemila anni prima, a importare il culto per primi, dato che era il loro Dio.

Ma in quella non troppo fredda sera dell’inizio dei Pesci, nessuno dei contadini di Arethyan pensava certo a da dove venisse la tradizione di quei giorni di festa. Pensavano solo a goderseli.

Ovviamente il Kran Belz, l’Osteria del Gatto Nero, era sempre pieno di baldoria. Larsin era ritornato da tempo un assiduo frequentatore del locale, anche se non si ubriacava spesso.

Gli capitava di farlo solo in occasione delle feste di Fuflun.

Quella sera Larsin, Velthur, Prukhu, Menkhu e Arnith Gamarran si erano seduti a un tavolo della taverna per bere vino in onore di Fuflun e conversare del più e del meno, come già avevano fatto un’infinità di volte.

«Velthur, è vero quello che mi ha raccontato mio figlio, riguardo la sua prima lezione di scrittura? Ha detto che per sbaglio gli hai mostrato un’illustrazione di un libro che non volevi che vedesse. Come mai?».

«Era un’illustrazione di un libro di viaggi nei paesi d’Oriente, e mostrava un tempio dell’isola di Lankar. Era il tempio di una divinità sanguinaria che esigeva sacrifici umani, dall’aspetto mostruoso. L’illustrazione mostrava i sacerdoti di questa divinità che compivano i loro abominevoli sacrifici. Non mi sembra una cosa da mostrare a un bambino».
«E perché? Mio zio mi portò a vedere una decapitazione in piazza nel mio villaggio natìo quando avevo solo otto anni. Disse che dovevo vedere cosa succedeva ai briganti e agli assassini. Ricordo

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