Non riesco neanche a capire come voi Uomini possiate credere
a queste cose, e infatti per fortuna voi Avennarna siete in pochi, anche se un
giorno potreste diventare numerosi. Anzi, le Tre Madri del Fato dicono che in
un futuro lontano, molto lontano per fortuna, voi lo diventerete.
Ma temo che per occuparti di questo mistero, per combattere
gli intrusi dell’Altrove, dovrai rinunciare ad alcune tue convinzioni, o
rivederle».
«Finora non ho dovuto farlo. È vero che usando la ragione
finora non è che abbia capito molto, ma penso che non capirei molto di più se
seguissi il vostro strano modo di pensare».
«Il bambino è vicino a noi, te l’ho detto. É un bambino
delle Fate. La leggenda dei bambini umani scambiati nelle culle dalle Fate è
nata da quei bambini molto sognatori e un po’ stravaganti, di animo solitario,
che hanno una particolare dimestichezza con il nostro mondo.
Bambini che si sentono attratti da noi, che possono entrare
nel nostro regno e comprenderci come non può fare nessun altro Uomo. Il suo
destino è di diventare un nostro amico ed alleato, come è successo a tanti
altri prima di lui».
«È proprio quello che voglio impedire! Voglio che Erkan
abbia una vita normale, in mezzo agli altri Uomini, non che vada di notte nei
boschi a partecipare a strane orge in preda a bevande drogate, a seguire strani
culti che confondono le idee, che segua strane manie e strani comportamenti che
lo allontanerebbero dai suoi simili, che lo renderebbero uno stregone di
campagna emarginato di giorno nei villaggi e di notte consigliere di tutti gli
ipocriti, costretto la sera a ricevere in casa quelle stesse persone che di
giorno lo guarderebbero con rifiuto e sospetto, facendosi pagare per servigi
come leggere il futuro o lanciare un maleficio sul vicino del contadino che gli
regala i polli e le mele! Non potrete mai chiedermi di accettare una vita così,
per lui!».
«È il suo destino, la sua natura. Lui crescerà e diventerà
un nostro compagno. Fra qualche anno parteciperà per la prima volta al belk sulle Colline di Leukun, altrimenti
avrà una vita infelice. Anche se sembrerà un Uomo come tutti gli altri, non
sarà felice della sua vita, la vita degli Uomini del Veltyan. Se riuscirai ad impedirgli di esserci amico,
farai la sua infelicità».
«E sarebbe felice, vivendo la vita voluta da voi???».
«Non la vita voluta da noi, ma voluta da lui, o meglio dal
suo Fato. Ogni creatura vuole adempiere al suo Fato, anche se magari crede di
volere qualcos’altro. Anche tu vuoi adempiere al tuo Fato, ma credi di dover
perseguire altre cose. Per questo sei sempre inquieto e angosciato,
insoddisfatto. La posso sentire sempre, la tua insoddisfazione, la tua
inquietudine. È la prima cosa che si legge di te, ce l’hai scritto in
profondità nella tua anima».
«Scommetto che fra poco mi dirai che devo venire anche io al
belk, magari per accompagnare il
povero Erkan!».
«Oh no, non ho la pretesa di fare di te un nostro seguace. È
già tanto che tu sia diventato un nostro alleato. Lo so, noi non ti piacciamo
tanto. Però penso che tu potresti capirci e accettarci meglio, e che questo ti
aiuterebbe nel tuo compito. Forse, se tu capissi meglio noi e quello che stiamo
cercando di dirti, forse potresti arrivare a capire meglio cosa ci minaccia
tutti quanti».
«Per il momento, considero una minaccia che un giorno Erkan
possa partecipare al belk, e siccome
mi dà fastidio che tu sia qui, e che spii le mie mosse, e che magari leggi nel
mio pensiero, penso che ricorrerò al rimedio che mi ha regalato il mio amico
Prukhu….».
Velthur tirò fuori dalla tasca della sua bisaccia da medico
il ciondolo di argento alchemico che gli aveva regalato il vecchio Sileno, e se
lo mise al collo, stringendolo tra le dita, e guardandolo con soddisfazione.
Era il momento di scoprire quanto efficace poteva essere contro le menti troppo
curiose del popolo fatato.
La voce di Azyel si fece soffocata, incerta, ansimante.
«Questo… è un colpo basso, dottore…».
«Colpo basso? Io lo chiamerei legittima difesa. E poi,
dovevo scoprire se quello che mi aveva detto Prukhu su questo aggeggino era
vero».
«Drammaticamente vero, dottore….. per favore, mettila via,
non continuare a fissarlo».
«E tu smettila di guardarmi dentro la testa! Per favore!».
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