Rigirandolo nella mano, Velthur notò che i raggi interni e
il loro punto d’incontro si spostavano e formavano una stranissima illusione
ottica, per cui i raggi e la stellina parevano quasi uscire dalla figura e
formare una figura geometrica più complessa, incomprensibile. Guardare il ciondolo
aveva un effetto quasi ipnotico, disorientante. Semplicemente, Velthur non
riusciva a capire cosa avesse in mano.
«Strano, vero? Più lo guardi, e più ti domandi come è fatto.
Io la prima volta che l’ho avuto in mano, sarò stato un’ora buona a guardarlo e
rigirarlo per cercare di capirlo. Non ci sono riuscito e adesso non lo guardo
più, perché a lungo andare ti fa sentire proprio strano…»
«Un amuleto alchemico?».
«In un certo senso. Impedirà a qualsiasi Fata di leggere
nella tua mente. Basta che tu lo porti al collo, o anche se non lo porti, basta
che pensi ad esso, che fissi la sua immagine nel tuo pensiero, e nessuna Fata
potrà capire niente di ciò che pensi. Certo, ammetto che è difficile anche solo
pensare a quella immagine…. ma un uomo intelligente come te penso che possa
farlo».
«Come è possibile? E poi, a che scopo?».
«Ma come: “a che scopo”? Velthur, svegliati! Se ti avvicini
ad Aralar Alpan, dovrai trovarti a che fare con le Fate di cui è alleato, e che
possono leggere nel pensiero le tue vere intenzioni, o prevedere quello che
farai. Ma questo oggetto le confonde, le distrae e le spaventa. Non sappiamo
perché, ma è così. I Nani fabbricano queste cose proprio per proteggersi
dall’eccessiva curiosità delle Fate. Pare che questo oggetto rappresenti qualcosa
che appartiene all’Altrove, o qualcosa che dà l’accesso all’Altrove, e questo
istintivamente spaventa e respinge la mente delle Fate. Forse i Nani sanno
anche perché, ma non ce l’hanno rivelato».
«Infatti, rende nervoso anche me….» disse Azyel, che
distoglieva lo sguardo dal ciondolo, come se fosse un cadavere, o un cumulo di
vomito e di escrementi.
«Va bene, lo conserverò gelosamente e lo porterò sempre con
me».
E lo ripose nella sua bisaccia da viaggio.
«Loro non possono vedere le creature dell’Altrove, ma tu sì,
e anche noi. Loro non possono sostenerne neanche la vista, ma tu sì. E anche
noi. Per questo vogliamo sentire da te quello che succederà, perché noi
potremmo capire meglio persino della Triplice Regina cosa succederà. Comprendi,
ora?».
«Credo di sì, credo…. comunque, farò tesoro anche di quello
che mi ha detto la Triplice Regina ,
cioè che devo cercare nel libro Le
Dottrine Misteriche di Cthuchulcha, per capire cosa sta cercando di fare
l’eremita Aralar».
«Sì, e quando avrai trovato qualcosa, dovrai dirlo anche a
Menkhu, perché potresti trovarci scritte delle cose che susciterebbero un tale
terrore nelle Fate, da non poterle udire. E quindi tu non potresti rivelarlo a
loro».
«Mi sembra una situazione così assurda…. Più si va avanti
con questa storia, più succedono cose prive di senso, e più scopro cose che mi
sembrano del tutto folli….»
E mentre parlava, continuava a rigirare lo strano talismano
fra le dita. Qualsiasi rivelazione trovava, non faceva altro che infittire il
mistero, anziché dissiparlo.
Dopo aver salutato i due Sileni e lo Gnomo, si avviò giù per
il sentiero che portava a Tulvanth, mentre alle sue spalle le case fatate
tornavano invisibili, e così il grande monolito della Triplice Regina.
Uscendo dal piccolo regno delle Fate di Leukun, gli sembrò
come di uscire da un sogno, o da uno stato stuporoso, come se fosse stato
ubriaco.
Stare a contatto delle Fate, sembrava essere una cosa simile
a bere il loro vino.
Non c’era da stupirsi che tanta gente, soprattutto nelle
alte sfere, le guardasse con molta diffidenza.
E forse ora avrebbero guardato con maggiore diffidenza anche
lui, ora che si era avvicinato a quel mondo incantato e pericoloso.
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