Ora tale culto verrà restaurato, ripristinato. Ricomincerà
ad essere invocato come un tempo, e io sarò uno dei suoi sacerdoti. Egli ci
spingerà alla conoscenza che regnava nel mondo prima del Diluvio, ma senza gli
errori che fecero gli orgogliosi Giganti. E comincerà una nuova Età dell’Oro su
Kellur!».
Mentre proferiva quelle parole, Velthur notò che il lampo di
follia che pervadeva sempre il suo sguardo si era intensificato, e il suo tono
di voce si era alterato. In quei momenti, il timore e la soggezione di Velthur
cominciarono a diventare un vero e
proprio terrore.
Capiva di avere di fronte un fanatico religioso, in preda a
un delirio di onnipotenza, che probabilmente tramava per rovesciare il potere
teocratico del Veltyan con un nuovo culto.
Non era da escludere che, potesse essere legato a una
società segreta religiosa capace di ogni sorta di delitto, pur di raggiungere i
suoi scopi.
Ma nella sua follia, l’eremita si era accorto di aver
parlato troppo. Appena aveva notato il timoroso e imbarazzato silenzio del
dottore, riprese quell’aria sorridente che per Velthur spirava falsità da tutti
i pori.
«Ma io vi sto annoiando. E poi siete un Avennar, lo so. Voi
non potete condividere la mia fede, ma non dovete preoccuparvi. Io non sono uno
di quei sacerdoti che guardano dall’alto in basso i seguaci di altre religioni.
Io vorrei che nel nostro paese ci fosse un’assoluta libertà religiosa, che non
ci fossero tutte le limitazioni che vengono date a chi non è fedele al culto di Sil e degli Dei tradizionali. In
fin dei conti, anche io seguo un’interpretazione molto personale della
tradizione, come avrete capito».
«Già, l’ho intuito…. Magari è anche per questo che vi siete
ritirato qui? Magari non piacevate alla gerarchia sacerdotale della vostra
città? Qualche kamethei athumiakh non
gradiva le sue dottrine eterodosse? So che da quelle parti ci sono molte sette
esoteriche di cui fanno parte molti sacerdoti, seguaci di dottrine alchemiche e
spiritualistiche segrete…..».
«Se permettete, quella è una parte della mia storia che vi
racconterò quando ci saremo conosciuti meglio, se riusciremo a conoscerci….».
«Pensavo che voi cercaste la mia amicizia, senza ipoteche e
senza remore….».
«Ma sì, certo, sì. Scusatemi, forse è stata la mia vita in
mare che mi ha reso un po’ troppo sospettoso. Perdonatemi, dottore, ma non ho
piacere a rivangare tutti i più brutti ricordi. L’imcomprensione che ho subìto
dopo la mia ordinazione è una delle mie memorie più dolorose, seconda forse
solo al mio disastroso viaggio alla ricerca della Terra Santa».
Velthur pensò che era bravo a inventare le scuse, come tutti
i sacerdoti.
La conversazione si spostò su argomenti più neutri fino a
quando non furono ai piedi del Monte Leccio. Il nervosismo e l’angoscia
ripresero Velthur.
Cominciò a tormentare con le dita il misterioso amuleto che
aveva ricevuto in dono da Prukhu, l’unica rassicurazione che possedeva al
momento.
Poi sentì un richiamo nel bosco, un verso strano di una voce
che non era né umana né animale, e che conosceva molto bene.
Lui e Menkhu erano d’accordo che, quando Velthur fosse
giunto in prossimità dell’eremo, il giovane Sileno sarebbe stato là ad
aspettarlo nel bosco, e avrebbe segnalato la sua presenza con il caratteristico
grido dei Sileni.
«È pieno di Sileni qua attorno, non immaginavo quanti,
quando sono arrivato qui».
«Sì, parecchi. Qui ai confini del regno ci sono boschi
enormi, e quindi i Sileni prosperano.
Noi ci siamo abituati. La maggior parte sono schivi, non si
fanno vedere spesso, altri invece convivono con gli Uomini, ma tutti loro
qualche scambio con noi ce l’hanno, chi più, chi meno. E non ci sono mai stati
motivi di contrasto con loro. Anzi, possiamo dire di essere sempre stati buoni
amici».
«Dove vivevo io non c’erano né Sileni, né Fate, né Nani. In compenso,
come vi ho detto, c’erano parecchi
Tritoni che si facevano vedere sulle spiagge e nei porti, o nei fiumi e
nei canali.,. E anche se spesso uscitano molta paura, con il loro aspetto
spaventoso, la loro amicizia è molto utile,
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