mercoledì 10 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 166° pagina.


Il terzo è il Rosso Fiore del Mistero, il più grande e glorioso di tutti. È il fiore di ciò che è oltre ogni tua comprensione, e che non potrai mai svelare, né comprendere……l’unico fiore che non potrai mai possedere pienamente».

Velthur intanto si era gettato su Menkhu e gli strattonava il braccio per spingerlo ad entrare e chiudere la porta dietro di sé, ma fu l’enorme Sileno a prenderlo per un braccio e trascinarlo fuori con la sua irresistibile forza.

«Velthur! Fuori di qui non c’è nessuno! Nessuno, capisci? Guarda tu stesso!».

Menkhu aveva ragione. Fuori della casupola di pietra non c’era assolutamente niente, se non le capre e un altro paio di gatti che guardavano da lontano, allarmati, come guatando una preda.

«Cosa credevi di aver visto, Velthur? L’eremita ha fatto impazzire anche te? Adesso la follia è diventata contagiosa?».

Per Velthur fu come risvegliarsi da un incubo. Un incubo di cui non voleva sapere più niente.

«Menkhu…. Andiamocene. Subito!».

E tirandolo di nuovo per un braccio, si mise a correre giù per il sentiero, deciso a non farsi più rivedere in quel posto.





CAP. XVI: LA VISITA REGALE



L’autunno ormai era avanzato. Le piogge e il vento cominciavano a far cadere le foglie colorate dei boschi, dei frutteti e dei filari, e la gente aveva ormai cambiato abbigliamento da tempo.

Niente più corte tuniche bianche o dai colori chiari di cotone, e chi poteva permetterselo rinunciava ad andare a piedi nudi, tanto meno in sandali.

Gli uomini cominciavano a mettersi braghe che arrivavano sotto il ginocchio, la cui usanza era stata importata dalle tribù barbare del nord molti secoli prima, venute per immigrazione o invasione nelle verdi terre del Veltyan.

Le donne portavano tuniche più pesanti, che arrivavano fino alle caviglie, e tutti per uscire la sera portavano i tradizionali grigi mantelli di feltro. Sul capo, le donne avevano i pesanti veli di lana colorata, gli uomini gli altrettanto colorati ampi cappelli. Anche i nobili e gli alti sacerdoti smettevano di radersi e si lasciavano crescere le barbe, comunque non lasciate incolte come quelle del popolo, ma sagomate e intrecciate in vari modi.

La festa della vendemmia era già stata celebrata e anche con grande soddisfazione, perché il raccolto d’uva era stato molto abbondante, soprattutto di uva fragola, che in quella zona veniva diffusamente coltivata. Tanto vino dolce sarebbe fermentato nelle grandi anfore di terracotta dei viticultori della provincia dell’Enkarvian.

Si era ormai a metà del mese dell’Aquila, quando alla gente di Arethyan fu annunciato che la Kyrenni, la Regina Eletta Exinedri II, era prossima a visitare il Santuario di Silen.

Ovviamente, l’eccitazione era alle stelle.

Nessuna Regina del Veltyan era mai stata da quelle parti. Per la gente di quelle province, la Kyrenni era solo una figura quasi mitologica, una sorta di divinità che viveva in un regno favoloso, la grande capitale di Veyan, di cui quasi nessuno là sapeva niente, se non la gente più colta o di nascita nobile, usi a viaggiare nelle regioni centrali del grande Regno Aureo almeno una volta nella vita.

La notizia ufficiale della visita della Regina fu portata alla fattoria dei Ferstran da Thanxiel Ekhari, amica di Syndrieli e sacerdotessa di Nethuan, il Dio dei Pozzi e delle Fonti, una delle divinità più popolari presso i contadini, anche se di secondaria importanza per le gerarchie sacerdotali.

Mentre erano sedute assieme nella sala da pranzo della fattoria a bere una tisana calda, la piccola Eukeni, la secondogenita di Syndrieli e Larsin, ascoltava la conversazione fra Thanxiel e sua madre, affascinata ed emozionata all’idea che avrebbe potuto vedere la Regina.
Naturalmente, non poteva trattenersi dal fare un sacco di domande alla Reverenda Madre. Syndrieli non poteva fare a meno di dire alla figlia di non disturbare la Reverenda Madre, e la Reverenda

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