domenica 7 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 163° pagina.


La sua era una delle figure più mostruose della religione dei Thyrsenna. Solitamente veniva rappresentato come un essere antropomorfo dalle sfumature verde-giallastre, con un ricurvo becco verde ramarro al posto della bocca, sulla testa un groviglio di serpenti o tentacoli anch’essi verdi al posto dei capelli e due grandi ali membranose e squamose, che ricordavano una via di mezzo fra le ali dei pesci volanti e quelli delle farfalle, e con due grandi occhi gialli e sporgenti, dalle pupille a fessura.

Pareva che il suo culto fosse originario della stirpe dei Tritoni, e il suo aspetto sembrava confermarlo.

Alcune sette misteriche delle regioni meridionali del Veltyan, presso il mare, lo adoravano come loro patrono, e lo chiamavano il Guardiano della Soglia, Colui (o Colei, non era chiaro il suo genere, ammesso che ne avesse uno) che custodisce i segreti dell’Aisedis, l’aldilà dei Thyrsenna.

Naturalmente, la figura sulla copertina non era a colori, ma lo era invece la stampa all’interno.

«Questa è un’edizione rarissima, che fu pubblicata più di cento anni fa solo per i seguaci del culto di Cthuchulcha. Mi è stato donato da una persona di cui non posso rivelare il nome, con la raccomandazione di conservarlo gelosamente. Chi sia stato a scriverlo, non è noto. Ma l’uomo, o la donna, che ne fu l’autore o l’autrice, dichiara nel libro che quello che vi è scritto gli è stato rivelato da Cthuchulcha stesso, ed è lo strumento per varcare la Soglia dell’Altrove.

Guardate, guardate voi stesso, qui ci sono molti simboli e brani misteriosi che non sono ancora riuscito a decifrare nel loro significato, ma sono sicuro che in esso è contenuto il segreto che i Geni conservavano nella loro città. In qualche modo, qualcosa di quel sapere antico deve essere giunto fino ai nostri giorni, forse attraverso i Tritoni, forse attraverso la riscoperta del sapere tramite una rivelazione divina….».

Aralar cominciò a sfogliare il libro, e leggerne brani, inframmezzati da illustrazioni con complesse forme geometriche e figure mostruose, inquietanti, e assurdamente caotiche, in cui sembrava che ogni sorta di membra umane e animali, o pazzescamente ibride, si unissero per comporre corpi multiformi e privi di ogni simmetria e coerenza.

In altre illustrazioni comparivano quelle che sembravano orbite di corpi celesti, che però non avevano niente a che fare con la mappe celesti che Velthur aveva visto fino a quel momento.

I Thyrsenna non conoscevano ancora i telescopi, anche se avevano scoperto le lenti da diversi secoli. Siccome erano rimasti fermi ad un sistema geocentrico simile a quello tolemaico, non sapevano nulla del moto della Madre Terra attorno al Sole, né di orbite ellittiche, né di satelliti attorno ai pianeti, né di altri sistemi solari oltre al proprio.

Le mappe stellari del libro invece mostravano costellazioni sconosciute, e astri che sembravano orbitare attorno ad altri  astri con orbite ellittiche, che a loro volta orbitavano attorno ad altri astri con orbite altrettanto ellittiche, in un sistema inestricabile di ellissi intersecantisi e concentriche.

E i brani di testo che Aralar leggeva sembravano essere fatti nello stesso stile delle illustrazioni: caotici, incomprensibili, insensati, inquietanti e folli.

«Quattro sono le direzioni che costituiscono il nostro mondo. Tre formano l’estensione, la quarta da sola forma la durata. E la quarta direzione è percorribile solo in un senso. Ma nell’Altrove le cose sono diverse, e oltre l’orizzonte si stendono altre direzioni, sia nell’estensione che nella durata.

Ci sono mondi nei mondi, orizzonti dentro orizzonti, sia nella polvere e nel fango dal quale siamo stati tratti, sia nell’immensità celeste verso cui siamo proiettati.

Ugualmente distanti dalla polvere e dalle stelle, non comprendiamo né l’una né le altre.

L’Ignoto che si stende tutt’attorno a noi ci schiaccia, ma le nostre domande lo interrogano, mentre esso non può interrogare noi, a meno che non siamo noi a concederglielo.

Le nostre domande sono più grandi dell’Abisso in cui si perdono….».

Velthur stava per chiedere che cosa demoneoscuro volesse dire quello sproloquio esoterico di direzioni e durate e abissi cosmici, quando in quel momento capitò una cosa alquanto strana, più strana persino di Aralar.

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