sabato 20 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 175° pagina.


Menkhu ormai portava sempre i rozzi vestiti da pastore che usava anche suo padre, e come lui si faceva dare cibo dai contadini od ospitare nei fienili dalle fattorie locali in cambio di lavoretti o per intrattenere le famiglie nelle sere che si facevano sempre più lunghe.

Pareva che fosse un buon affabulatore anche lui, anche se non forse al livello superlativo di suo padre. Forse perché non aveva ancora la stessa pluridecennale esperienza in merito e anche la vastissima conoscenze di storie, fatti antichi e moderni e leggende provenienti da tutto il paese ed oltre.

C’erano tanti modi con cui un Sileno poteva rendersi utile, perché quelli della sua stirpe erano più alti e molto più forti degli Uomini, anche se non come dei Giganti, e in più avevano il potere di vedere nel buio come i gatti, e di avere un udito e un olfatto molto più fine di qualsiasi Uomo. Difficilmente un malintenzionato non ci avrebbe pensato diverse volte ad avvicinarsi ad una fattoria sorvegliata da un Sileno.

Il fatto poi che avesse quel pelo di un rosso carota fiammante, creava un’ambivalenza nei suoi confronti. Alcuni seguivano la superstizione che i rossi sono malvagi per natura, altri quella invece secondo cui sarebbero dotati di poteri magici. Questi ultimi lo consideravano una specie di portafortuna, e ci tenevano parecchio alla sua amicizia. Anche perché, appunto, un Sileno di pel rosso metteva ancora più paura di uno di un altro colore.

Non aveva mai vissuto con gli Uomini prima d’allora, ma ora sembrava averci preso gusto. Il mondo umano finiva sempre per incuriosire i Sileni, perché se da un lato la vita del popolo della foresta era libera e senza padroni e priva di preoccupazioni che non fosse quella di procurarsi il cibo e un buon riparo, dall’altra non aveva tutte quelle cose strane e curiose che gli Uomini possedevano, e che affascinavano e divertivano i Sileni.

Così, questa ambiguità di atteggiamento faceva sì che i Sileni vivessero, per scelta, perennemente ai margini della società umana, cercando di goderne i vantaggi senza subirne le catene.

Ma Menkhu aveva un motivo in più per avvicinarsi al mondo degli Uomini.

Non era solo l’approfittare del vino, della birra e del sidro, e dei cibi che non si potevano trovare nella foresta, come i formaggi, i salumi, gli ortaggi e i funghi sott’olio, le marmellate, la panna e i dolci, le carni e i pesci affumicati.

Non erano solo le mille luccicanti e belle cose che possedevano gli Uomini nelle loro case e nei loro templi, né le grandi feste campestri, e i prodigi alchemici con i metalli e altre sostanze.

Era anche il fatto che tutto gli stava apparendo come una straordinaria avventura.

Tutto quello che stava succedendo, più che spaventarlo lo appassionava, o meglio trasformava la paura in una sorta di piacere.

Se ne era accorto quella mattina in cui aveva bussato all’eremo di Aralar Alpan, dopo aver osservato in distanza l’eremita ed il dottore entrare nella piccola casa di pietra intagliata.

Se ne era rimasto là, seduto sotto un albero a poca distanza, aspettando pazientemente che il dottore uscisse dall’eremo. Poi aveva notato arrivare la grossa gatta, che si era messa a grattare sulla porta prima che le venisse aperto.

La gatta si era comportata in modo strano: gli era passata accanto come se non avesse nessuna paura degli estranei, e gli aveva mandato un miagolìo gentile, come per salutarlo, poi aveva proseguito tranquilla e sicura di sé. Era quasi come se l’avesse invitato a seguirla.

Poi dopo qualche minuto che era entrata in casa, Menkhu aveva cominciato a sentire degli strani rumori, come degli echi profondi e tonanti.

Ci volle un po’ per capire che stavano venendo dall’interno dell’eremo, perché anche con il suo fine udito da Sileno, il suono appariva così innaturale da non capacitarsi che venisse da dentro la casetta di pietra. Sembrava quasi che nel piccolo edificio ci fosse una sorta di pozzo, o di caverna, dal cui fondo provenivano dei colpi, o dei tuoni, che risalivano da un profondo abisso vuoto sotto il monte.

Solo dopo aver accettato l’assurda evidenza, si era deciso a bussare alla porta dell’eremo, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. Sembrava invece che i colpi si facessero sempre più forti e lunghi.

E quando aveva aperto, si era trovato di fronte al più assurdo degli spettacoli.

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