Ashtair, che prima era rimasta comodamente acciambellata sul
suo giaciglio, uscì d’improvviso dal suo apparente pisolino e cominciò a
guatare una delle due finestre, quella più vicina al camino, come se avesse
sentito o visto qualcosa.
«…Oltre le tre direzioni dell’estensione del nostro mondo, ne
esistono altre sette, invisibili per i nostri occhi, intoccabili per le nostre
mani, inaudibili per le nostre orecchie. Oltre la direzione della durata del
nostro mondo, ne esistono altre due. Il nostro universo mondo fa parte di un
universo mondo più grande e più esteso, con un’estensione a quattro direzioni,
e a sua volta fa parte di un universo mondo con un’estensione che va in cinque
direzioni, e così via fino all’universo mondo supremo, la cui estensione è
immensamente aldilà della più estrema
immaginazione del più fantasioso ed ardito degli Uomini.
Se esistono altre direzioni oltre alla decima non ve lo so
dire, ma poco servirebbe saperlo, perché già la quarta direzione ci è quasi del
tutto incomprensibile…..».
Mentre continuava a leggere, Aralar sembrava diventare
sempre più concitato ed esaltato, e di nuovo sembrava precipitare del tutto nel
delirio.
Intanto, la sua gatta sembrava impazzire per conto suo.
Aveva inarcato la schiena, sguainato le unghie e rizzato il
pelo dalla testa alla coda in una maniera impressionante. Già non è un bello
spettacolo quando lo fa un normale piccolo gatto, ma in un felino di quella
razza diventava qualcosa di veramente terrificante, quasi come veder infuriarsi
una tigre, o perlomeno un lupo.
Soffiando come una legione di serpenti, mostrava le sue
bianche zanne alla finestra, come se oltre di essa si appostasse il peggiore
dei nemici.
«Reverendo Padre, dolente distrarvi da questa interessante
lettura, ma mi sembra che la vostra gatta sia un poco inquieta…..».
Fu come parlare al muro.
«… ogni essere di questo mondo, senza saperlo, fa parte di
un essere più grande. Siamo come le facce di una gemma sfaccettata, che non
sanno di far parte di una gemma, di essere la gemma. Siamo come riflessi
dimentichi di essere parte di una sostanza. Soli e incerti, e fuggevoli, non
vediamo ciò che sta oltre noi stessi e nello stesso tempo dentro noi stessi, e
tutt’intorno a noi stessi.
Ciò che è più lontano della stella più lontana ci è più
vicino di quanto lo sia il nostro stesso cuore….».
La cosa più grottesca, era che mentre leggeva, Aralar
continuava a gettare sguardi in faccia a Velthur, con quell’aria esaltata che
sembrava chiedere la partecipazione emotiva dell’ospite, che invece stava
cominciando a urlare disperato.
«Aralar! Smettetela! Guardate la gatta! È impazzita! Se non
cercate di calmarla, quella ci fa a pezzi tutti e due!».
La gatta infatti cominciò a lanciare fendenti nell’aria, ma
non verso i due uomini. A unghie sguainate, sembrava combattere contro un
nemico invisibile, soffiando e urlando in un modo che quasi sopravanzava le
voci concitate dei due Uomini. In pratica, stavano urlando tutti in preda
ognuno a un diverso tipo di follia. Quella di Velthur si chiamava semplicemente
terror panico.
Poi successe un’altra cosa inspiegabile. La luce della
lampada perenne appesa al soffitto
cominciò a tremolare, come se dovesse spegnersi. Poi cambiò colore e divenne
scarlatta, ma non meno tremolante. Ricordava la luce delle perenni fiamme alchemiche
del Santuario di Silen.
E Aralar continuava a infischiarsene di tutto e di tutti,
continuando a leggere di cose incomprensibili.
«Noi tutti siamo più di ciò che vediamo, noi tutti siamo
vicini alla Soglia dell’Altrove, ma non la vediamo, perché è troppo vicina per
trovarla.
Ascolta la mia dottrina, perché io, testimone di
Cthuchulcha, ho trovato la strada indicatami dal Guardiano della Soglia, e ho
visto l’Altrove e i suoi segreti. Innominabili ed indicibili sono i misteri che
ho conosciuto, ma anche se non li posso descrivere, posso indicarti la strada
per raggiungerli…»
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