lunedì 8 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 164° pagina.


Ashtair, che prima era rimasta comodamente acciambellata sul suo giaciglio, uscì d’improvviso dal suo apparente pisolino e cominciò a guatare una delle due finestre, quella più vicina al camino, come se avesse sentito o visto qualcosa.

«…Oltre le tre direzioni dell’estensione del nostro mondo, ne esistono altre sette, invisibili per i nostri occhi, intoccabili per le nostre mani, inaudibili per le nostre orecchie. Oltre la direzione della durata del nostro mondo, ne esistono altre due. Il nostro universo mondo fa parte di un universo mondo più grande e più esteso, con un’estensione a quattro direzioni, e a sua volta fa parte di un universo mondo con un’estensione che va in cinque direzioni, e così via fino all’universo mondo supremo, la cui estensione è immensamente  aldilà della più estrema immaginazione del più fantasioso ed ardito degli Uomini.

Se esistono altre direzioni oltre alla decima non ve lo so dire, ma poco servirebbe saperlo, perché già la quarta direzione ci è quasi del tutto incomprensibile…..».

Mentre continuava a leggere, Aralar sembrava diventare sempre più concitato ed esaltato, e di nuovo sembrava precipitare del tutto nel delirio.

Intanto, la sua gatta sembrava impazzire per conto suo.

Aveva inarcato la schiena, sguainato le unghie e rizzato il pelo dalla testa alla coda in una maniera impressionante. Già non è un bello spettacolo quando lo fa un normale piccolo gatto, ma in un felino di quella razza diventava qualcosa di veramente terrificante, quasi come veder infuriarsi una tigre, o perlomeno un lupo.

Soffiando come una legione di serpenti, mostrava le sue bianche zanne alla finestra, come se oltre di essa si appostasse il peggiore dei nemici.

«Reverendo Padre, dolente distrarvi da questa interessante lettura, ma mi sembra che la vostra gatta sia un poco inquieta…..».

Fu come parlare al muro.

«… ogni essere di questo mondo, senza saperlo, fa parte di un essere più grande. Siamo come le facce di una gemma sfaccettata, che non sanno di far parte di una gemma, di essere la gemma. Siamo come riflessi dimentichi di essere parte di una sostanza. Soli e incerti, e fuggevoli, non vediamo ciò che sta oltre noi stessi e nello stesso tempo dentro noi stessi, e tutt’intorno a noi stessi.

Ciò che è più lontano della stella più lontana ci è più vicino di quanto lo sia il nostro stesso cuore….».

La cosa più grottesca, era che mentre leggeva, Aralar continuava a gettare sguardi in faccia a Velthur, con quell’aria esaltata che sembrava chiedere la partecipazione emotiva dell’ospite, che invece stava cominciando a urlare disperato.

«Aralar! Smettetela! Guardate la gatta! È impazzita! Se non cercate di calmarla, quella ci fa a pezzi tutti e due!».

La gatta infatti cominciò a lanciare fendenti nell’aria, ma non verso i due uomini. A unghie sguainate, sembrava combattere contro un nemico invisibile, soffiando e urlando in un modo che quasi sopravanzava le voci concitate dei due Uomini. In pratica, stavano urlando tutti in preda ognuno a un diverso tipo di follia. Quella di Velthur si chiamava semplicemente terror panico.

Poi successe un’altra cosa inspiegabile. La luce della lampada perenne  appesa al soffitto cominciò a tremolare, come se dovesse spegnersi. Poi cambiò colore e divenne scarlatta, ma non meno tremolante. Ricordava la luce delle perenni fiamme alchemiche del Santuario di Silen.

E Aralar continuava a infischiarsene di tutto e di tutti, continuando a leggere di cose incomprensibili.

«Noi tutti siamo più di ciò che vediamo, noi tutti siamo vicini alla Soglia dell’Altrove, ma non la vediamo, perché è troppo vicina per trovarla.

Ascolta la mia dottrina, perché io, testimone di Cthuchulcha, ho trovato la strada indicatami dal Guardiano della Soglia, e ho visto l’Altrove e i suoi segreti. Innominabili ed indicibili sono i misteri che ho conosciuto, ma anche se non li posso descrivere, posso indicarti la strada per raggiungerli…»

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