domenica 28 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 183° pagina.


«Temo di sì. Spero di sbagliarmi, ma temo proprio che sia così. Troppe cose che non riusciamo a spiegare, troppe cose che ci spaventano».

Rimasero là a chiacchierare ancora per circa un’ora, cercando di spostarsi su argomenti più ameni. Velthur sperava che, parlando con Larsin di argomenti il più possibile neutri, lo potesse rassicurare e spingere a fidarsi di più di lui, così che potesse decidersi a raccontargli qualcosa di cosa gli era successo, e il perché di quella repentina trasformazione, che aveva sorpreso tutti quanti.

Poi si accorsero di un certo fermento fra la gente attorno, presso cui stava passando la voce che la Regina era uscita dal Santuario e stava salendo sul tumulo per celebrare finalmente il rito della benedizione generale.

Velthur e Larsin cominciarono quindi a cercare una posizione lungo la riva che offrisse una buona visuale della cima del tumulo, e non dovettero faticare molto prima di trovarla, in un punto dove gli alberi erano fitti solo sulla riva, ma subito dopo lasciavano il posto a un vasto prato.

Per pura coincidenza, Larsin scorse in lontananza Syndrieli, che portava il piccolo Loraisan in una sacca sulle spalle.

Larsin la chiamò e la donna gli rispose alzando il braccio sinistro, per far capire che l’aveva sentito.

Fu allora che si poté scorgere la figura della Regina, accompagnata dai due Giganti e da quello che pareva essere lo Sposo Regale, che saliva fra le viti del tumulo.

«Sembra che si sia ripresa bene, la nostra beneamata sovrana. Chissà se Azyel gli si è di nuovo nascosto vicino…».

Subito dopo che Velthur aveva pronunciato quelle parole, cominciò ad accadere tutto quanto.

Il sole spuntò improvvisamente dalle nuvole che sembravano venire spazzate via da una mano di vento furioso nell’alto dei cieli. Ma era un sole che non aveva nulla di normale, perché diventava sempre più rosso di secondo in secondo, come se stesse tramontando.

Ma la sua luce non era quella del tramonto,  perché il suo disco non era la pallida sagoma che si scorge quando è all’orizzonte. Era rosso come il sangue, ma sfolgorante come un sole estivo. Era qualcosa di assolutamente innaturale.

La sua luce tinse il mondo di nuovi colori, inusitati per una mattina prossima all’inizio dell’inverno. Era come se si fosse entrati in una nuova, quinta stagione che prima non era mai esistita né tantomeno era mai stata immaginata.

Naturalmente, la folla immensa cominciò a gridare al miracolo, al prodigio divino.

La religione dei Thyrsenna, in un ormai remoto passato all’origine della sua storia, si era fondata principalmente sull’interpretazione magica di eventi naturali.

Nei tempi remoti, i sacerdoti erano stati indovini che basavano i loro pronostici sul comportamento degli animali, sulla caduta dei fulmini e sui movimenti degli astri. Poi, man mano che la civiltà thyrseniakh si era evoluta, la religione si era spiritualizzata e i sacerdoti avevano abbandonato molte delle pratiche superstiziose ereditate dai loro antenati.

Ma la fede primitiva del volgo era rimasta attaccata a quelle pratiche antiche, e quando succedeva qualcosa di insolito nel cielo, la gente delle campagne vi vedeva solo segni divini e messaggi celesti.

La gerarchia teocratica del Veltyan tollerava tutto questo, anche se ufficialmente era sempre molto cauta nel riconoscere la veridicità dei presunti segni celesti.

Ma quella luce in pieno giorno,  quel sole insanguinato come una sfolgorante lanterna rossa non l’aveva mai visto nessuno a memoria d’uomo. Nessuno, nelle cronache storiche, aveva riferito di un segno celeste di quel tipo.

La folla era in tumulto e molti si lasciavano andare ad atteggiamenti di esaltazione religiosa, alzando le braccia al cielo e intonando litanie in onore di Sil, gettandosi a terra e rotolandosi in preda a una sorta di delirio. Sembrava, a dire il vero, una delle orge dionisiache del belk, dove si faceva a gara a chi perdeva di più il senno.

Dalla sua posizione, Velthur notò che la Regina era arrivata in cima al tumulo e ora stava dritta, tendendo le braccia in avanti e ruotando su se stessa, nel classico gesto di benedizione della folla. Sembrava che per lei non stesse succedendo niente.

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