Se non mi credi, vedrai tu stesso la mattina del prossimo
giorno di usiltin, quando andrai alla Polenta Verde, e vedrai assieme a tutto
il popolo riunito la Regina
con i Giganti affiancati, sopra la folla. Io sarò accanto a te anche allora,
senza che nessuno se ne accorga, e ti mostrerò i pensieri di tutti quanti, non
solo della Regina e delle sue due enormi guardie scure, ma anche di tutti gli
altri dignitari, e vedrai quanto meschini e vuoti siano i loro pensieri.
Ti farò vedere il terrore dei Giganti e ti farò rendere conto che molte delle tue
paure non hanno ragione di essere.
Tanto grossi per niente! Essere grandi non significa essere
potenti e coraggiosi, ricordatelo!»
La cosa che in seguito, ripensando a quella conversazione,
Erkan si ricordò sempre per prima invece, fu che aveva pensato che razza di
mondo potesse essere quello delle Fate, dove non è possibile nascondere niente
a nessuno, nemmeno i propri sentimenti, e dove non era possibile mentire.
Gli Uomini non potevano vivere senza mentire, agli altri o a
se stessi. Erkan, e qualunque altro Uomo, non potevano neanche immaginare una
vita, una comunità, un regno dove la menzogna era bandita da una perenne
trasparenza di tutte le menti e di tutte le azioni.
Da quel giorno cominciò a domandarsi se un Uomo potesse
sopportare di vivere in compagnia delle Fate per tutta la sua vita.
Solo molto tempo dopo riuscì a convincersi che sì, era
possibile, grazie a quelle grandissime forze dell’animo umano che sono
l’abitudine e la rassegnazione, forse le risorse più potenti dell’essere umano.
Erkan guardò il corteo regale allontanarsi lungo la strada
lastricata, sentendo un nodo alla gola perché il suo amico segreto Azyel gli
aveva smontato i suoi miti infantili.
Non poteva capire che, anche se uno Gnomo non poteva
mentire, aveva comunque cercato di presentargli la verità in un modo tale che
potesse essere utile a un fine ben preciso: far sì che il bambino non avesse
altri miti personali che quello del popolo fatato.
Spesso neanche un adulto può capire che la verità non è mai
neutrale, e sicuramente non lo poteva capire un bambino come Erkan.
Verso sera, un corriere proveniente a cavallo dalla villa
dei Tezanfalas, che si trovava fra il paese di Aminthaisan e la Polenta Verde , annunciò
all’alkati di Arethyan che la
Regina avrebbe visitato il Santuario d’Ambra la mattina di
usiltin, in modo che il popolo non dovesse abbandonare il lavoro per assistere
alla cerimonia di benedizione.
Velthur, anche se era un Avennar e non era certo interessato
a ricevere la benedizione della sacra Kyrenni, aveva deciso di andare anche
lui. Inoltre, era facile che in quel grande assembramento di persone qualcuno
potesse sentirsi male, o che avvenissero degli incidenti a causa della calca.
Inoltre, quello Gnomo malefico di Azyel gli aveva detto che
lui e Menkhu avrebbero fatto meglio ad andarci, perché sarebbe successo
qualcosa di importante e non potevano mancare.
Non sapeva dire cosa doveva succedere, perché le Fate non
avevano saputo vedere un’immagine chiara al riguardo, avevano visto solo che
molta gente sarebbe stata sconvolta da ciò a cui avrebbe assistito. Ma cosa
sarebbe successo, non erano riuscite a scoprirlo. L’unica immagine che
vedevano, legata all’evento della benedizione della Regina, era una luce rossa
in cielo. Guarda caso.
La mattina di usiltin, molti contadini si erano recati
presso il Santuario d’Ambra ancor prima del sorgere del sole, per poter essere
in prima fila quando fosse giunta la
Regina.
Al popolo non sarebbe stato permesso di entrare nel tempio
nel momento della visita regale. Solo i kametheina
e gli athumna avrebbero potuto
entrare nella sala sotterranea, mentre gli etarna,
i plebei, avrebbero atteso fuori il momento in cui la Kerynni sarebbe salita in
cima alla Polenta Verde per benedire il tempio e il popolo riunito.
Fra i mattinieri, ovviamente, c’erano Velthur e Menkhu.
Aspettando pazientemente e molto tranquillamente il grande evento, rimasero
appoggiati a un noce di uno dei filari presso l’entrata dell’ipogeo,
conversando in attesa dell’evento. Azyel non si era fatto vedere, ma l’Uomo e
il Sileno erano convinti che lo Gnomo fosse presente, magari invisibile, magari
abilmente camuffato da cespuglio o da pietra, o magari anche da essere umano.
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