venerdì 19 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 174° pagina.


Se non mi credi, vedrai tu stesso la mattina del prossimo giorno di usiltin, quando andrai alla Polenta Verde, e vedrai assieme a tutto il popolo riunito la Regina con i Giganti affiancati, sopra la folla. Io sarò accanto a te anche allora, senza che nessuno se ne accorga, e ti mostrerò i pensieri di tutti quanti, non solo della Regina e delle sue due enormi guardie scure, ma anche di tutti gli altri dignitari, e vedrai quanto meschini e vuoti siano i loro pensieri.

Ti farò vedere il terrore dei Giganti  e ti farò rendere conto che molte delle tue paure non hanno ragione di essere.

Tanto grossi per niente! Essere grandi non significa essere potenti e coraggiosi, ricordatelo!»

La cosa che in seguito, ripensando a quella conversazione, Erkan si ricordò sempre per prima invece, fu che aveva pensato che razza di mondo potesse essere quello delle Fate, dove non è possibile nascondere niente a nessuno, nemmeno i propri sentimenti, e dove non era possibile mentire.

Gli Uomini non potevano vivere senza mentire, agli altri o a se stessi. Erkan, e qualunque altro Uomo, non potevano neanche immaginare una vita, una comunità, un regno dove la menzogna era bandita da una perenne trasparenza di tutte le menti e di tutte le azioni.

Da quel giorno cominciò a domandarsi se un Uomo potesse sopportare di vivere in compagnia delle Fate per tutta la sua vita.

Solo molto tempo dopo riuscì a convincersi che sì, era possibile, grazie a quelle grandissime forze dell’animo umano che sono l’abitudine e la rassegnazione, forse le risorse più potenti dell’essere umano.

Erkan guardò il corteo regale allontanarsi lungo la strada lastricata, sentendo un nodo alla gola perché il suo amico segreto Azyel gli aveva smontato i suoi miti infantili.

Non poteva capire che, anche se uno Gnomo non poteva mentire, aveva comunque cercato di presentargli la verità in un modo tale che potesse essere utile a un fine ben preciso: far sì che il bambino non avesse altri miti personali che quello del popolo fatato.

Spesso neanche un adulto può capire che la verità non è mai neutrale, e sicuramente non lo poteva capire un bambino come Erkan.

Verso sera, un corriere proveniente a cavallo dalla villa dei Tezanfalas, che si trovava fra il paese di Aminthaisan e la Polenta Verde, annunciò all’alkati di Arethyan che la Regina avrebbe visitato il Santuario d’Ambra la mattina di usiltin, in modo che il popolo non dovesse abbandonare il lavoro per assistere alla cerimonia di benedizione.

Velthur, anche se era un Avennar e non era certo interessato a ricevere la benedizione della sacra Kyrenni, aveva deciso di andare anche lui. Inoltre, era facile che in quel grande assembramento di persone qualcuno potesse sentirsi male, o che avvenissero degli incidenti a causa della calca.

Inoltre, quello Gnomo malefico di Azyel gli aveva detto che lui e Menkhu avrebbero fatto meglio ad andarci, perché sarebbe successo qualcosa di importante e non potevano mancare.

Non sapeva dire cosa doveva succedere, perché le Fate non avevano saputo vedere un’immagine chiara al riguardo, avevano visto solo che molta gente sarebbe stata sconvolta da ciò a cui avrebbe assistito. Ma cosa sarebbe successo, non erano riuscite a scoprirlo. L’unica immagine che vedevano, legata all’evento della benedizione della Regina, era una luce rossa in cielo. Guarda caso.

La mattina di usiltin, molti contadini si erano recati presso il Santuario d’Ambra ancor prima del sorgere del sole, per poter essere in prima fila quando fosse giunta la Regina.

Al popolo non sarebbe stato permesso di entrare nel tempio nel momento della visita regale. Solo i kametheina e gli athumna avrebbero potuto entrare nella sala sotterranea, mentre gli etarna, i plebei, avrebbero atteso fuori il momento in cui la Kerynni sarebbe salita in cima alla Polenta Verde per benedire il tempio e il popolo riunito.

Fra i mattinieri, ovviamente, c’erano Velthur e Menkhu. Aspettando pazientemente e molto tranquillamente il grande evento, rimasero appoggiati a un noce di uno dei filari presso l’entrata dell’ipogeo, conversando in attesa dell’evento. Azyel non si era fatto vedere, ma l’Uomo e il Sileno erano convinti che lo Gnomo fosse presente, magari invisibile, magari abilmente camuffato da cespuglio o da pietra, o magari anche da essere umano.

Nessun commento:

Posta un commento