martedì 16 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 171° pagina.


Una delle parti trasparenti era una sorta di cabina in cui si vedeva la Regina, seduta su di un trono di quarzo alchemico di color verde smeraldo, simbolo del Regno Aureo, che salutava il popolo riunito lungo i lati della strada, che veniva tenuto indietro dalle guardie reali e soprattutto dalle temibili figure dei due Giganti alti tre metri, figure magnificenti ed incredibili, dentro le loro armature anch’esse di acciaio adamantino come la carrozza, ma con l’interno laminato d’argento, per dare alle corrazze un aspetto specchiante.

I due Giganti erano la principale attrazione, subito dopo la grande carrozza regale. Perché, se da quelle parti non si era mai vista una Regina, del pari non si era mai visto un Gigante, che ormai erano una stirpe rara e generalmente molto isolata dal mondo degli Uomini.

Dopo essere passato per il paese, il corteo regale proseguì per la strada lastricata, passando di fronte al sentiero che conduceva alla fattoria dei Ferstran, i quali ovviamente erano tutti là, o quasi, proprio all’imboccatura del sentiero.

La più emozionata, ovviamente, era la piccola Eukeni, che sperava di poter vedere la Regina dentro la carrozza, per poter fantasticare di essere al suo posto.

Ma la sua avidità di vedere la Regina non era superiore a quella di suo fratello Erkan di vedere i due Giganti della guardia reale.

Il suo più grande stupore fu nel vedere che i Giganti avevano una pelle scurissima, che si  poteva vedere solo sui loro volti barbuti e sulle mani. Da quelle parti non si era mai visto nessuno con la pelle tanto scura, né si era mai immaginato che potessero esistere persone, umane o no, con la pelle di quel colore.

Anche se le storie che arrivavano dai porti del Regno Aureo parlavano spesso delle isole dei Mari del Sud dove vivevano popoli barbarici dalla pelle scura, di fatto la gente semplice si figurava semplicemente genti dal colorito scuro come un contadino abbronzato sotto il sole estivo, ma non di quel colore bruno che rendeva i Giganti, agli occhi della gente di Arethyan, ancora più terrificanti della loro statura e delle loro armature scintillanti.

Stranamente poi, le loro lunghe capigliature e le loro barbe che uscivano da sotto gli elmi erano di un castano chiaro, che sotto la luce del sole assumeva toni di biondo cenere, e questo rendeva ancora più strano e impressionante il loro aspetto.

«Padre, ma sono bruni quasi come un guscio di castagna!» gridò Erkan non appena poté osservarli che avanzavano ai lati dei cavalli della carrozza regale, con le spade sguainate.

«Perché i loro antenati vennero secoli fa dalle calde terre oltre i Mari del Sud, dove il sole è tanto forte che scurisce la pelle di chiunque».

«E le loro barbe e le loro chiome sono chiare, invece! E i loro occhi sono neri! Una volta la sacerdotessa Thanxiel mi ha raccontato che i Giganti erano pallidissimi, con i capelli bianchi e gli occhi splendenti, e avevano sei dita nelle mani e nei piedi».

«Quelli di cui parlava erano i Giganti di prima del Diluvio. Erano una razza diversa da questa. Questi sono i Giganti della Montagna, i loro lontani discendenti, e sono molto diversi. Ma se noti, anche loro hanno sei dita nelle mani, e sicuramente ce le hanno anche nei piedi».

Solo allora Erkan si accorse che era proprio così. Neanche le Fate avevano sei dita nelle mani e nei piedi. Per la prima volta, Erkan vide qualcosa che lo affascinava più del popolo fatato.

Larsin aveva avuto la saggezza di dire ai suoi familiari di starsene abbastanza discosti dal sentiero, perché sapeva che se fossero rimasti troppo vicini al corteo mentre passava, le guardie avrebbero potuto respingerli brutalmente.

I due Giganti guardavano impassibili di fronte a sé, indifferenti ai gruppi di piccoli Uomini che correvano abbandonando il loro lavoro nei campi e nelle fattorie verso la strada per osservare uno spettacolo che ai loro occhi probabilmente non avrebbero più potuto vedere in vita loro, perché si faceva fatica a credere che la Regina potesse tornare là un giorno, per quanto prodigioso e magnificente fosse il Santuario d’Ambra. Abituati a sentirsi esclusi dal centro dell’impero, non potevano ancora rendersi pienamente conto di essere adesso al centro dell’attenzione.

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