Le guardie umane invece, anch’essi con le loro armature di
sottile e resistentissimo acciaio adamantino, tenevano d’occhio che nessuno si
avvicinasse troppo, e da alcune sembrava emanare un disprezzo palpabile.
Al contrario la Regina, quando passò di fronte ai Ferstran,
accennò un saluto benevolo sollevando la mano sinistra in segno di benedizione,
ed elargì un sorriso, come lo elargiva a tutti i fedeli sudditi che si erano
riuniti per ammirarla come un’apparizione divina.
Portava la dorata corona cilindrica e turrita del Veltyan,
che come un casco le racchiudeva il capo e nascondeva i suoi capelli.
Aveva quarant’anni, ma ne dimostrava trenta. Merito delle
costose pozioni alchemiche che ritardavano l’avanzare dell’età.
Erkan, guardandola, pensò che gli sarebbe piaciuto essere
uno della guardia reale, e marciare accanto ai due Giganti, e conoscere le
storie delle imprese guerresche a cui avevano partecipato, e magari ricevere
altri sorrisi benevolenti dalla Regina, ogni giorno della sua vita.
Ma mentre fantasticava, guardando il retro della carrozza
che proseguiva verso la villa dei Tezanfalas, sentì una voce che usciva da un
cespuglio alla sua destra, una voce maschile, profonda, vibrante e non umana,
che riusciva a udire distintamente nonostante il rumore delle trombe, del
corteo, degli schiamazzi e delle urla del popolo entusiasta.
«Sai cosa pensava la Regina , mentre vi guardava? Sai cosa nascondeva
il suo sorriso così affabile?».
Erkan si voltò, e fra le foglie del cespuglio sempreverde
notò due grandi occhi neri dalle pupille brillanti. Era Azyel, lo Gnomo che
aveva incontrato diverse volte intorno alla fattoria nelle settimane
precedenti, e con il quale aveva quasi fatto amicizia.
Però, solo lui pareva vederlo, e anzi lo Gnomo gli aveva
chiesto di non parlare di lui con i suoi familiari.
«Sì, Erkan. La bella Regina dalla lunga veste di seta
purpurea e dalla corona d’oro splendente, cosa credevi che pensasse di te, di
tutti voi, mentre vi guardava e fingeva di elargirvi sguardi di benevolenza e
affetto? Pensava: “maledetti mangiatori di castagne e di lumache, pieni di
parassiti e di sporcizia. Perché a gente ignorante e bifolca come questa è
stato dato il privilegio di trovare un tesoro antico come questo?” Questo
pensa, questo continua a pensare da quando le è stata annunciata la scoperta
del Santuario di Silen e le è stata descritta la sua magnificenza. La Regina vi disprezza tutti
quanti, nonostante siate il suo popolo».
Erkan gli rispose bisbigliando, per non farsi sentire da suo
padre. Sapeva che per farsi capire dal popolo fatato non era necessario parlare
a voce alta. Anzi, non era necessario neanche aprire bocca. Bastava solo
concentrarsi sulle parole da dire.
«Perché dovrebbe disprezzarci? Solo perché mangiamo castagne
e lumache? A me piacciono sia le lumache che le castagne, che male c’è a
mangiarle?».
«Perché castagne e lumache sono il cibo dei poveri. Le
mangia chi va per i boschi e i campi in cerca di cibo, non le mangiano i
ricchi, se non per condire i loro cibi raffinati di cui voi poveri contadini
non sapete niente. La sua vita non è la vostra, non ha niente a che vedere con
voi.
Ma una Regina delle Fate non penserebbe e non agirebbe mai
così. Una Regina delle Fate mangia le stesse cose del suo popolo, veste la stessa
stoffa, una stoffa che tra l’altro fa lei per tutto il suo popolo, e vive nelle
stesse case in cui vive il suo popolo.
Che sovrana è, quella che non è vicina al suo popolo e alla
sua vita? Come potresti essere leale a un capo del genere, sapendo cosa pensa
di te e della tua gente? Come si può amare una Regina così, piena di inutili
orpelli, vanità e superbia? Non ammirarla, non amarla, perché lei non
ricambierà il tuo amore, e non avrà riconoscenza per i sacrifici che potresti
fare per lei. Non così le nostre Tre Madri, che sono veramente delle madri per
il popolo, e non solo di nome, come questa».
«Non me ne importa niente della Regina! Il Veltyan non è la Regina ! I soldati
combattono per il bene del Regno Aureo, per il bene dei Thyrsenna, non per la Regina.
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