domenica 21 agosto 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 176° pagina.


I colpi tonanti non si sentivano più,  mentre invece, illuminati da un’innaturale luce rossa, c’erano tre creature impazzite ognuna in modo diverso: un eremita che leggeva un libro in modo spiritato, un dottore in preda a una crisi isterica, una gatta inferocita non si sa contro chi o che cosa.

La scena gli era apparsa così assurda da essere, oltre che spaventosa e disorientante, quasi esilarante.

Quando si erano allontanati da quel luogo e Velthur si era calmato, e gli aveva spiegato cosa era successo, la cosa era apparsa ancora più assurda a Menkhu, a tal punto da spaventarlo e affascinarlo allo stesso tempo.

Si era convinto che l’eremita fose uno stregone avvezzo alla magia nera.

Soprattutto, lo affascinava quel particolare del suo progetto di costruire un tappeto volante con cui viaggiare in giro per il mondo, una cosa che invece Velthur considerava una pura follia. Ma ormai non era più certo nemmeno il dottore, di cosa fosse follia oppure no…

Da quella mattina, avevano parlato parecchie volte di quello che era successo, e soprattutto del fatto che Velthur non aveva più avuto il coraggio di andare a trovare l’eremita pazzo, anche facendosi accompagnare da Menkhu.

All’inizio, Velthur era riuscito ad aggrapparsi alla spiegazione che gli intrugli alchemici di Aralar fossero sfuggiti a qualche ampolla avvelenando l’aria, e facendo uno strano effetto sia a loro due che alla gatta Ashtair, ma era una spiegazione monca, perché Menkhu era rimasto abbastanza lontano dalla casa, che tra l’altro aveva la porta e le finestre chiuse. Gli stranissimi rumori che aveva sentito non potevano essere frutto di allucinazione.

Anche quella mattina parlarono di cose inerenti a quel giorno di terrore. In particolar modo, del libro Le Dottrine Misteriche di Cthuchulcha, che forse era il vero fulcro di quegli strani fenomeni.

«Allora, quando vai a Enkar a prendere quel libro maledetto?».

«Non riesco a trovare il coraggio. Ho preso un impegno con il mio amico, gli ho fatto acquistare il libro, ma non ho il coraggio né di farmelo mandare, né di andare a Enkar a prendermelo. Ho paura di quel libro, di quello che ci può essere scritto. Ho paura che abbia veramente il potere di rendere pazzi, o di evocare forze ignote».

«Beh, vai a prenderlo e poi lascialo nella tua biblioteca fino a quando non avrai trovato il coraggio di leggerlo».

«Non ne sarei capace! Non resisterei alla tentazione di leggerlo subito. Sono troppo curioso…. e nello stesso tempo ho paura».

«Secondo me sei già diventato matto come Aralar. In ogni caso, sei terribilmente complicato. Comunque, se non vuoi andarci tu, andrò io a prenderlo ad Enkar, e poi lo terrò in custodia io, lo nasconderò in una caverna, oppure lo affiderò a qualche mio amico fattore che lo terrà in cantina…. sperando che non ammuffisca nel frattempo!»

«Tu, da solo, a Enkar? Ma non sei mai stato in una città. Non è un posto per Sileni!».

«Mi credi un bambino? Cosa hanno di così spaventoso le città? Mi piacerebbe tanto vederne una.

Mio padre mi ha raccontato che una volta è stato a Enkar, e che all’inizio ha avuto paura nel vedere così tanta gente, ma poi si è divertito un mondo! Dai, dammi i soldi per pagare il tuo amico e mandami a prendere il libro!»

Stavano ancora discutendo su cosa fare con quel libro, che una figura femminile in lontananza alzò la mano in segno di saluto verso di loro, dal sentiero che conduceva alla fattoria degli Akapri.

Quando fu a pochi metri di distanza da loro, Velthur quasi non credette ai suoi occhi.

«Harali! Non immaginavo che sareste venuta qui! Avete letto il libro che vi ho fatto avere tramite questo grosso mascalzone di Menkhu?».

«Come avrei potuto mancare questa occasione, mio caro dottore? Da sola, sarebbe bastata come pretesto per uscire dal mio paesello sperduto nei boschi…. ma ora che ho deciso di andarmene da Tulvanth, avevo una ragione in più per venire, dato che d’ora in poi vivrò qua vicino».

«Ah, davvero? E dove? Avete trovato lavoro ad Aminthaisan, o in qualche villa nobiliare?».
«Oh no, no. Niente del genere. Mi farò monaca eremita anche io, per servire la Luce di Sil. Vivrò presso l’eremo del Reverendo Padre Aralar Alpan, che voi già conoscete. Lui mi inizierà alla vita

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