«Velthur, ti prego. Non sono affari tuoi. Io sto bene,
adesso, no? Erkan sta bene, non hai motivo di preoccuparti».
«Oh no, figuriamoci! Perché dovrei preoccuparmi del fatto
che non capisco niente di ciò che sta succedendo? E tu, Azyel….non si poteva
provare a tenere Harali lontana da Aralar? Certamente lo saprai che l’eremita
pazzo l’ha fatta diventare una sua adepta. Sì, proprio così: una sua
consorella, pensa un po’! Forse a te non te ne importa niente di lei, come
penso che non te ne importi di nessun essere umano, perlomeno di quelli che non
sono vostri seguaci. Ma a me sì. Non voglio che quella ragazza si trovi con la
vita rovinata per colpa di un pazzo.
Lo sai che cosa è venuta a fare qui, stamattina? Non solo
per assistere al rito di benedizione regale, ma anche per cogliere i gigli
rossi per le pozioni alchemiche del suo maestro spirituale! Lo sapevi tu? A che
cosa gli servono, quei fiori? Lo sai, tu?».
«Io…. no. Non lo sapevo. È una cosa che non sono riuscito a
leggergli nel pensiero, non ne sapevo nulla. Ma non è vero quello che dici,
Velthur. Al popolo delle Fate interessa ogni essere vivente, sia esso umano o
fatato o silenico o animale o vegetale o di ogni altro tipo possibile. A noi
interessa il fato di tutti e di ciascuno. Anche quello di Harali. Ma le Tre
Madri hanno letto il suo fato come hanno letto il fato di tutti quelli che sono
o saranno coinvolti in questa storia. E il destino di Harali è buono, se si
farà sacerdotessa monaca, come è sua intenzione.
La sua vita sarà lunga e serena, e dedicata allo studio e
alla conoscenza di tutto ciò che è buono. Non resterà a lungo con Aralar.
Certo, sarà la sua adepta, e seguirà i suoi insegnamenti, e sarà la sua erede
spirituale. Ma non resteranno assieme a lungo. Questo l’hanno visto chiaramente
le Tre Madri del Fato. Tu non ti devi preoccupare di lei, devi solo starle
vicino e aiutarla nella sua educazione. Vuole imparare tante cose e tu puoi
insegnarle molto».
«Allora vedrò di far sì che si allontani prima possibile da
lui! Ma tu, vedi di scoprire a cosa gli servono i gigli rossi, altrimenti
comincerò a pensare che mi sei del tutto inutile. Anzi, a dire il vero,
comincio già a pensarlo… E adesso, per favore, sparisci! O tiro fuori di nuovo
l’amuleto di Prukhu…».
A quel punto, Azyel pensò di fare un piccolo dispetto al
dottor Laran.
Lanciò qualcosa che doveva essere un’imprecazione nella
lingua fatata, agitando il bastone nell’aria, e cambiò in un secondo
l’illusione che gli dava l’aspetto di un vecchio umano. Il suo volto divenne
mostruoso, solcato da una serie di orribili rughe che formavano un gioco
serpentino sui lineamenti, con delle sfumature bluastre, violacee e
grigiazzurre, che ricordavano un cadavere in avanzato stato di decomposizione.
Gli occhi divennero enormi, e molteplici come quelli di un
gigantesco insetto, due enormi grappoli di bulbi oculari che sporgevano
mostruosamente come fruttescenze marce. E ognuno di quei piccoli occhi era
giallastro, con le pupille e le iridi rossastre che si muovevano ognuno per
proprio conto.
Dalla sua bocca storta e bavosa e irta di zanne altrettanto
storte e giallastre, uscì un grido stridulo e orrendo che avrebbe potuto essere
quello di uno sciame di vespe che ridono tutte assieme.
«Ah, maledetto! Sparisci! Sparisci, Gnomo malefico!».
Ma l’orrida visione illusoria doveva averla vista solo
Velthur, perché la gente che chiacchierava o passeggiava qua e là fra gli
alberi rimase quasi impassibile. Avevano visto solo un distinto signore di
mezza età che sembrava prendersela con un vecchio mendicante che lo molestava,
mentre un robusto contadino li guardava sorpreso.
Azyel, ripreso l’aspetto del vecchio arcigno, si allontanò
ridacchiando con andatura leggermente claudicante. Doveva divertirsi molto con
i suoi magici travestimenti.
«Non ti sta molto simpatico quello Gnomo, vero?».
«Perché, a te sì? È un viscido. Ha un fare ambiguo e losco».
«A suo modo, è semplicemente un soldato. Combatte e lavora
per il bene della sua nazione, esattamente come ho fatto io, anche se in modo
del tutto diverso. Come stai facendo anche tu, in fin dei conti. Ed è un nostro
alleato. Magari vorremmo avere alleati migliori, ma in guerra è così. Non
sempre puoi sceglierti gli alleati che vuoi».
«È questo che pensi? Che siamo in guerra?».
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