lunedì 10 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 215° pagina.


L’accenno al tempo in cui “la Luce di Sil è più debole” doveva essere il periodo del solstizio d’inverno, forse la festa di Tinsi Garepanusil, Il Giorno della Vittoria del Sole, quattro giorni dopo il solstizio, in cui si celebrava il ritorno dell’allungarsi dei giorni.

Quella festa aveva fama di essere l’occasione per molti stregoni di celebrare i loro riti segreti, secondo la credenza che quella ricorrenza venisse celebrata da tempi remotissimi, non solo molto prima del Diluvio, ma addirittura nei tempi precedenti la nascita degli Uomini sulla Madre Terra.

Il brano successivo riprendeva a dire cose incomprensibili, ma si capiva che riguardava un qualche procedimento con i gigli rossi per aprire la Soglia dell’Altrove.

Ma nel capitolo successivo c’era qualcosa di ancora più sorprendente.

Sulla seconda pagina di esso, c’era un’altra illustrazione che colpì Velthur come una mazzata. Rappresentava quello che pareva una sorta di tempio sotterraneo, irto di stalattiti e stalagmiti, con un gruppo di cinque Nani seduti intorno a una sorta di piccolo altare, sopra cui stava un oggetto che aveva già visto in un bassorilievo del Santuario d’Ambra: il misterioso fiore di cristallo a cinque petali, sfaccettati come gemme intagliate.

Ma in quell’illustrazione era rappresentato a colori, e appariva come emanante dei raggi verdi tutt’attorno a sé, come un’aureola di fredde fiamme.

L’oggetto in questione veniva denominato con una lista di titoli altisonanti: il Fiore della Memoria, lo Scrigno della Sapienza, l’Occhio della Fenice, la Pietra Radiante, il Calice dell’Eternità, la Gemma della Corona del Portatore di Luce, il Diamante Fiamma, la Gemma Cosmica, e via dicendo.

Veniva descritto come “il tesoro più prezioso dell’universo”, di inestimabile valore, bramato da tutti i sapienti dalle origini della Madre Terra e dono degli Dei Superni.

Un brano in particolare ne magnificava le doti, che però non venivano descritte chiaramente.



Il Fiore della Memoria venne su Kellur alle origini dei tempi, nell’Era dei Geni, dono degli Dei degli Abissi Splendenti, oltre le più lontane frontiere dell’Altrove, e in quei tempi i suoi doni erano accessibili a tutti, affinché tutti ne potessero godere e crescere in virtù e sapienza.

Ma quando i Geni si pervertirono, mal consigliati da Quelli dalle Ali Nere, i sapienti nascosero il Fiore della Memoria sottoterra, affinché il suo sconfinato potere non fosse usato a fin di male, e posero dei guardiani a sorvegliarlo. Essi furono i primi antenati dei Nani, e da Elfi della Luce divennero Elfi delle Tenebre, perché si nascosero nelle tenebre durante le ere della gioventù del mondo.

Ma con il Diluvio le sue tracce furono perse, e persino i Nani non conoscono più il luogo dove è stato nascosto.

Ma se un giorno dovesse essere ritrovato, chi lo possedesse e trovasse la chiave per bere dal suo calice, sarebbe l’essere più potente del mondo, e nulla di ciò che è nei confini di Kellur si potrebbe sottrarre al suo potere, poiché la sua sapienza si stenderebbe ben oltre i confini del mondo.



Dunque c’era un legame fra il libro di Chtuchulcha e il Santuario d’Ambra, anche se di quel legame ancora si sapeva poco o nulla. Ma era comunque un punto di inizio, un indizio su quello che voleva fare il Reverendo Padre Aralar.

Velthur diede un’ultima scorsa al libro, prima di lasciarsi vincere dal sonno e dalla stanchezza, tanto per avere una visione d’insieme del libro.

Si limitò, più che altro, a guardare le illustrazioni, nel tentativo di interpretarne i simboli. La penultima illustrazione era bellissima, e mostrava una sorta di albero gigantesco, il cui tronco e i cui rami sembravano trasparenti e diafani su di uno sfondo stellato. I rami si aprivano in una sorta di ventagli di sottili fili d’erba, e la sua chioma sembrava un ammasso di nubi piene di gruppi di astri, mentre alle tre radici dell’albero, simili a una sorta di gigantesco antiglio, o treppiede, si apriva come un mare di fuoco, di onde che emanavano bagliori rifrangendosi sulle radici come su degli scogli.

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