un’occhiata, approfittando del bel tempo. Non aveva paura di
dover camminare in tutta quella neve, dato che ormai ci era abituato.
«Vengo anche io, Menkhu. E stavolta sarebbe meglio che ti
mettessi degli scarponi, non vorrei che ti congelassi le dita dei piedi».
«Ma chi le ha scarpe per dei piedi come i miei? E poi nessun
Sileno ha mai portato scarpe, mai. E non credo che avrò delle difficoltà,
comunque. Tu, piuttosto. Credi di poter camminare in tutta quella neve fino al
Monte Leccio? Scommetto che anche stavolta dovrò portarti in spalla».
«Farò del mio meglio, soprattutto quando si tratterà di
scappare».
«Tu hai una paura folle di quell’uomo, vero? Io invece no.
Secondo me non è lui il pericolo. È qualcosa che lo circonda, che gli sta
vicino, il vero pericolo, ma non lui».
«E allora farò del mio meglio quando si tratterà di scappare
da ciò che gli sta vicino. Proprio non ti capisco: in ogni caso c’è da aver
paura, ad andare là che il pericolo sia l’uno o l’altro».
«Mah…. certe volte non mi capisco neanche io. Dovrei avere paura,
eppure non ne ho».
Mezz’ora dopo erano già in partenza. Per le strade la gente
spalava la neve che aveva reso quasi impossibile girare per le strade.
Quando fu il momento di uscire dal villaggio, Velthur si
chiese se sarebbe riuscito a raggiungere l’eremo prima di sera, e la profezia
di Menkhu si realizzò: dovette prenderselo in spalla, mentre lui balzava sulla
neve con una forza e una velocità sovrumane. La fortuna di essere un Sileno.
Ma non ce ne fu bisogno per molto. La strada lastricata era
completamente sepolta dalla neve, ma comunque ancora distinguibile dai campi
attorno. Dopo averla percorsa per meno di un chilometro, trovarono qualcosa di
strano, che rese loro l’avanzata più facile.
C’erano delle orme sulla strada, o qualcosa che assomigliava
a delle orme, ma non si sapeva di cosa. Partivano da un punto presso la riva
del fiume, dove il ghiaccio sembrava
essersi infranto durante la notte, e una sottile lamina si era riformata.
«Ho come l’impressione che i guai siano cominciati già
qui….» disse Menkhu, bloccandosi e facendo scendere Velthur.
«Se non è uno scherzo, direi di sì…».
Le orme erano stranamente e perfettamente circolari, ma
erano larghe più di mezzo metro. Dopo essere arrivate dal fiume, seguivano la
strada lastricata, e avevano compresso la neve come se avessero portato un peso
enorme.
«Se sono orme, mai visto niente del genere. Io conosco tutte
le orme degli animali del bosco, e anche di quelli domestici, ma se questo è un
animale, è di una specie sconosciuta. Una specie enorme. Per fare impronte del
genere, questa bestia deve avere la spalla che arriva alla testa di un Gigante,
forse anche di più. Ma mi domando se sia una bestia, o invece qualcuno che ha
fatto degli zoccoli pesantissimi per farcelo credere».
«Dovrebbe essere stato qualcuno con una notevole forza
fisica, per trasportare e muovere dei finti zoccoli così pesanti da comprimere
la neve in questo modo».
«Va bene, allora. Immaginiamo che sia una bestia; ma che
razza di bestia? Guarda qua…. Le impronte sono perfettamente circolari, in modo
innaturale, direi. E i bordi sono più profondi della parte centrale. Sembrano
degli zoccoli, ma non so se si può definirli tali. C’è una sorta di fenditura
che li attraversa dalla parte davanti a quella dietro, ma guarda com’è
perfetta, lineare…. Sembra qualcosa di scolpito, non qualcosa di animale.
Comunque non è un bipede, si vede chiaramente che cammina a quattro zampe, ma
c’è qualcosa di strano…. quasi come se….».
Menkhu si bloccò, strabuzzando gli occhi.
«No! Un momento! Non
è possibile!».
Poi si guardò intorno, andando da un’orma all’altra,
sconcertato. Velthur non osava fargli domande.
«Questa bestia ha sei
zampe! Non è possibile! Non ci sono bestie con sei zampe!».
«Beh, sì…. gli insetti hanno in genere sei zampe. Ma non
credo che questo essere sia qualcosa di simile a una formica o a una zanzara.
Un insetto con gli zoccoli e alto diversi metri non me lo vedo! Preferirei
poter pensare che sia uno scherzo di qualche buontempone. Tu no?»
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