mercoledì 19 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 224° pagina.


«Dovremmo pensare che si tratta di tre buontemponi che dopo essersi messi degli strani zoccoli ai piedi, molto ingombranti e pesantissimi, hanno proceduto sulla strada, marciando perfettamente in sincronia… una bella fantasia, non c’è che dire.  E poi, direi che non è possibile. C’è troppa distanza fra un’orma e l’altra. Nessun Uomo o Sileno potrebbe avere una falcata del genere».

«Forse tre Giganti?».

Menkhu non poté fare a meno di piegarsi in due dal ridere, reggendosi con le mani sulle ginocchia.

«È proprio vero che, pur di trovare delle spiegazioni razionali a certi misteri, si finisce con l’accettare spiegazioni ancora più ridicole e balenghe di ogni superstizione! Te li immagini tre Giganti che sono venuti qui con una tormenta di neve solo per marciare uno dietro l’altro, ognuno con le braccia sulle spalle di quello davanti come tre bambini che fanno gli stupidi, con ai piedi degli stranissimi zoccoli di ferro con la base concava e con una scanalatura in mezzo, non si sa bene perché?».

Velthur ridacchiò anche lui.

«Infatti io per primo non riesco a crederci».

Poi ritornarono entrambi mortalmente seri.

«Allora dobbiamo proprio pensare che un misterioso essere gigantesco con sei zampe dagli stranissimi zoccoli è uscito dal fiume e si è incamminato lungo la strada…. Forse verso proprio il punto dove siamo diretti anche noi? E chi  ha il coraggio di andarci, adesso?».

«Menkhu…. se davvero questo essere è reale, chi di noi si salva, adesso? E se ce lo ritroviamo che vaga in paese, qualsiasi cosa sia?».

«Sì, ma…. tutto ciò che abbiamo visto o di cui abbiamo sentito parlare prima di adesso non erano esseri in carne ed ossa, erano spiriti, visioni che venivano da altri posti. Questo invece è un essere reale, fisico. Prima era una cosa da pazzi, adesso è una faccenda pericolosa. Dobbiamo chiamare la gente del paese e fargli vedere questa roba. Dobbiamo dire loro di tenersi armati e pronti ad affrontare questa… questa cosa!»

«Eh, già! Questa festa di Tinsi Garepanusil sarà anche peggio di come me l’aspettavo!»

Corsero quindi in paese e avvertirono il primo che trovarono. Non dettero molti particolari, per paura di non venire creduti. Dissero solo che c’erano delle strane orme sulla strada lastricata in un punto in cui passava vicino al fiume, e che bisognava dare una controllata, e che loro avrebbero seguito le orme per vedere dove portavano.

Nel giro di un’ora si raccolse parecchia gente, e subito il paese tornò nell’isteria collettiva. Molti cominciarono a dire che sicuramente quelle orme arrivavano fino al Santuario d’Ambra.

I gendarmi di Arethyan erano arrivati anche loro, tutti e tre, assieme ai loro collaboratori: civili volontari che prestavano il loro aiuto occasionalmente ai gendarmi, nei casi richiesti.

Dopo molte, concitate discussioni e parecchi tremori, ci si decise a seguire le orme. I gendarmi e i volontari erano armati di spade, archi e frecce, i paesani invece provvisti di forconi, scuri, falci e roncole, o coltellacci da cucina. Menkhu armato solo del suo bastone e della sua forza, Velthur armato solo della compagnia di Menkhu.

Seguirono le tracce con rapidità, saltando da un’orma all’altra, dato che la neve era ben compressa dentro ciascuna di esse, e non creava alcun ostacolo.

Con sorpresa di molti, le orme continuarono anche oltre la zona della Polenta Verde, fino a quando arrivarono ai piedi di Monte Leccio.

Lì si volatilizzarono.

Semplicemente, erano scomparse, e non se ne vedeva traccia da nessuna parte. Era come se il misterioso essere avesse spiccato il volo, o si fosse smaterializzato.

Presto, sarebbe nata la leggenda del misterioso drago o mostro volante a sei zampe con zoccoli, anche se nessuno l’aveva visto direttamente. E infatti ciò non avrebbe impedito che qualche animo suggestionabile dichiarasse  poi di averlo visto vagare nella notte invernale prima della vigilia di Tinsi Garepanusil.

Nessuno era disposto a credere che fosse uno scherzo. Perché dove le orme si interrompevano non c’era nessuna traccia, nel senso assoluto del termine.

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