venerdì 21 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 226° pagina.


«Sembra quella sostanza che a volte i nostri marinai importano dai lontani Mari del Sud…. Il caucciù, con cui si fa una sostanza elastica e solida. Ma questa sembra molto più resistente. Deve essere uno dei suoi esperimenti alchemici. Se l’ha inventata lui, questa roba, allora diventerà ricco sfondato. Qualcuno mi passi un coltello, per favore».

Uno dei due volontari gli allungò il suo coltello da caccia, e con quello Velthur provò a tagliare il filo. Anche questa volta senza nessun successo.

«Demone oscuro di un eremita!» sbottò il gendarme «Sapete quanti soldi potrebbe fare vendendo questo materiale come cordame? O magari come tessuto? Quello che non capisco, è perché appenderlo agli alberi!».

«Ce lo faremo dire da lui, e dovrà dare delle spiegazioni convincenti».

«Perché? Non è reato appendere ornamenti agli alberi del bosco, se ha il permesso del proprietario del bosco…».

«Il proprietario del bosco con tutta probabilità non sa nulla di quello che sta combinando quello. Guardate! Sono come una rete stesa tra gli alberi. Sono legati tra di loro, no… anzi, sono fusi tra di loro a un capo e all’altro, come i fili di una ragnatela….».

Velthur si avvicinò a un ramo di un altro albero dove tre fili penzolanti si univano tra di loro. Non si vedevano nodi, né segni di attaccature, era come se i fili fossero cresciuti assieme l’uno attaccato all’altro. La mente di Velthur provò a fare dei paragoni con qualcosa di noto: le radici di una pianta, le diramazioni dei nervi o delle vene in un corpo vivente, i rami sottili di un arbusto.

Si domandò se quelle cose fossero il risultato di una qualche forma di alchimia organica sconosciuta, che avesse creato una nuova, mostruosa forma di vita affine alle piante.

Mentre teneva tra le mani uno di quei grossi fili e rifletteva sulla loro possibile natura, il ciondolo che gli aveva regalato Prukhu, e dal quale non si separava mai, urtò leggermente il filo d’ambra gommosa, e subito Velthur si accorse di qualcosa di sconcertante.

Dove il tetraedro scintillante aveva toccato il filo, questo aveva cambiato completamente aspetto. Era solo una piccola e tenue macchia, ma era ben visibile. Da ambrato e trasparente, il filo era diventato scarlatto e opaco.

Incuriosito, Velthur passò un lato del tetraedro lungo il filo, per vedere se il fenomeno si sarebbe ripetuto.

In pochi secondi, ovunque avesse passato il ciondolo, il filo era diventato tutto color del sangue e aveva perso lucidità e trasparenza.

«Dottore, che state combinando?»

«Non allarmatevi. Sembra che l’alchimia del mio amuleto, opera dei Nani, interferisca con l’alchimia operata da Aralar…. Sentite! Lasciatemi qui a dare un’occhiata a questa rete di fili. Voi andate all’eremo e cercate il Reverendo Padre, fatevi dire che cos’è questa rete e a che cosa serve. Quell’uomo è un esperto alchimista, so che sta facendo esperimenti alchemici di un tipo nuovo e sconosciuto, probabilmente pericolosi. Forse le misteriose orme che abbiamo visto sono legate a quello che sta facendo proprio in questo momento.».

«E perché non venite anche voi e vi fate spiegare voi che cosa sono questi affari, dato che sicuramente lei ne sa molto di più di noi? Che ne sappiamo noi poveracci di alchimia eremitica?».

«Diciamo allora che non abbiamo più tempo da perdere. Credo di aver trovato il modo di rompergli le uova nel paniere. Non ho nessuna garanzia che sia così, e qui solo Menkhu può capire di cosa sto parlando. Io credo che questi fili che collegano gli alberi siano il prodotto di un’alchimia sconosciuta, esattamente come lo è il ciondolo che ho al collo. Sono entrambi il frutto di un sapere ignoto agli Uomini, almeno fino ad ora. E credo che quello che Aralar ha fatto con questi fili, questo amuleto lo può disfare. Ma ci devo lavorare, e devo anche sbrigarmi.

Quindi vi prego tutti quanti: andate all’eremo, e state molto in guardia. Se vedete o udite qualcosa che vi appare anomalo, o innaturale, o addirittura irreale, non indugiate e scappate come il vento, se potete. Non fermatevi a cercarmi, lanciate solo delle urla di richiamo, in modo che sappia che devo scappare anche io.

Oh… e un’ultima cosa: attenti ai gatti….».

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