sabato 8 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 213° pagina.


pensato appunto che portasse a una cantina, ma mi sembrava maledettamente piccola. Io non avrei potuto passarci.

L’ho aperta, e mi sono trovato di fronte a una scalinata piccola ma molto lunga, e oscura, anche se in fondo ho visto la luce di una lampada perenne… molto in fondo. Non portava a una cantina, ma a qualcosa di molto più profondo, ed era da lì che veniva quello strano odore. Tu mi hai parlato delle catacombe sotto la città, dove vive una comunità di Nani… la porta e la scalinata erano molto piccole, troppo piccole per gli Uomini o per i Sileni».

Velthur guardò interrogativamente Keilin, era sul punto di dire qualcosa ma il giovane amico lo prevenne.

«Ci sono molte dicerie, nella nostra città, di passaggi segreti, o neanche tanto segreti, che condurrebbero dalle cantine delle case private alle catacombe dove vivono i Nani. Ma la comunità nanesca di Enkar è molto piccola…. Credo che siano solo poche decine di anime».

«Ne basta anche uno solo di Mastro Alchimista dei Nani, per sospettare che anche gli Elfi delle Tenebre siano coinvolti in qualche modo in questo strano complotto.

Che anche il caro signor Hulxas nascondesse qualcosa è un sospetto che ho avuto fin dall’inizio. D’altra parte, quando ha detto che sapeva poco o nulla di chi sta dietro alle richieste del libro maledetto, non ho creduto a una sola parola».

«E cosa vorresti fare, Velthur? Tenere d’occhio anche lui? Certo, potremmo andare dai gendarmi e dire dei nostri sospetti, ma su cosa si baserebbero? Sul fatto che c’è una porticina nella sua libreria che forse porta alle catacombe dei Nani? E poi, sarebbero sospetti di due Avennarna, e quindi poco credibili per loro».

«L’unica cosa che si può fare è che tu, se possibile, provi a tenerti informato sui suoi movimenti e sui suoi clienti. Se davvero fanno parte di una setta misterica, in qualche modo devono avere delle attività, dei luoghi dove riunirsi. Magari prima o poi potrebbe tradirsi, lasciar trapelare qualcosa….».

«Non sono mai stato bravo a ficcare il naso negli affari degli altri, né tantomeno a fare il gendarme. Menkhu mi sembra molto più bravo, così furtivo e silenzioso… ma troppo appariscente, quando non è completamente avvolto da mantello e cappello».

«E tra l’altro, sono poco avvezzo alla città. Devo dire che mi è piaciuta, ma non vorrei mai viverci. Troppa gente per i miei gusti. E ora che abbiamo il libro, voglio solo tornare a casa».







CAP. XIX: L’IMPOSSIBILE ORRORE



Il viaggio di ritorno ad Arethyan fu molto più tranquillo di quello d’andata. Soprattutto perché Velthur e Menkhu non viaggiarono sul fiume, ma lungo di esso. Non volevano reincontrare il Saguseo, non volevano doversela vedere con barcaioli in preda al terrore isterico degli spiriti, volevano innanzitutto poter stare tranquilli.

Certo, c’era il rischio di incontrare qualche malfattore lungo la grande strada lastricata che procedeva verso nord-est, ma c’era anche l’incredibile forza del massiccio Menkhu a proteggerli e scoraggiare i malintenzionati.

Il viaggio di ritorno fu più lungo ovviamente, perché per la maggior parte andarono a piedi, ma a loro non poteva importare. A Menkhu non importava perché era un Sileno, abituato a camminare per lunghi tratti. A Velthur non poteva importare perché aveva il mezzo per passare il tempo come voleva lui. Ogni volta che si fermavano, tirava fuori il libro e cominciava a studiarselo. Invano.

La sera dopo essere ripartiti da Enkar, nella camera della locanda in cui si erano fermati, Velthur, nonostante la stanchezza, alla luce della lampada perenne aveva cominciato a leggere gli enigmatici capitoli del libro misterico.

Mentre leggeva, parlava a Menkhu senza accorgersi che stava addormentandosi della grossa.

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