pensato appunto che portasse a una cantina, ma mi sembrava
maledettamente piccola. Io non avrei potuto passarci.
L’ho aperta, e mi sono trovato di fronte a una scalinata
piccola ma molto lunga, e oscura, anche se in fondo ho visto la luce di una
lampada perenne… molto in fondo. Non portava a una cantina, ma a qualcosa di
molto più profondo, ed era da lì che veniva quello strano odore. Tu mi hai
parlato delle catacombe sotto la città, dove vive una comunità di Nani… la
porta e la scalinata erano molto piccole, troppo piccole per gli Uomini o per i
Sileni».
Velthur guardò interrogativamente Keilin, era sul punto di
dire qualcosa ma il giovane amico lo prevenne.
«Ci sono molte dicerie, nella nostra città, di passaggi
segreti, o neanche tanto segreti, che condurrebbero dalle cantine delle case
private alle catacombe dove vivono i Nani. Ma la comunità nanesca di Enkar è
molto piccola…. Credo che siano solo poche decine di anime».
«Ne basta anche uno solo di Mastro Alchimista dei Nani, per
sospettare che anche gli Elfi delle Tenebre siano coinvolti in qualche modo in
questo strano complotto.
Che anche il caro signor Hulxas nascondesse qualcosa è un
sospetto che ho avuto fin dall’inizio. D’altra parte, quando ha detto che
sapeva poco o nulla di chi sta dietro alle richieste del libro maledetto, non
ho creduto a una sola parola».
«E cosa vorresti fare, Velthur? Tenere d’occhio anche lui?
Certo, potremmo andare dai gendarmi e dire dei nostri sospetti, ma su cosa si baserebbero?
Sul fatto che c’è una porticina nella sua libreria che forse porta alle
catacombe dei Nani? E poi, sarebbero sospetti di due Avennarna, e quindi poco
credibili per loro».
«L’unica cosa che si può fare è che tu, se possibile, provi
a tenerti informato sui suoi movimenti e sui suoi clienti. Se davvero fanno
parte di una setta misterica, in qualche modo devono avere delle attività, dei
luoghi dove riunirsi. Magari prima o poi potrebbe tradirsi, lasciar trapelare
qualcosa….».
«Non sono mai stato bravo a ficcare il naso negli affari
degli altri, né tantomeno a fare il gendarme. Menkhu mi sembra molto più bravo,
così furtivo e silenzioso… ma troppo appariscente, quando non è completamente
avvolto da mantello e cappello».
«E tra l’altro, sono poco avvezzo alla città. Devo dire che
mi è piaciuta, ma non vorrei mai viverci. Troppa gente per i miei gusti. E ora
che abbiamo il libro, voglio solo tornare a casa».
CAP. XIX: L’IMPOSSIBILE ORRORE
Il viaggio di ritorno ad Arethyan fu molto più tranquillo di
quello d’andata. Soprattutto perché Velthur e Menkhu non viaggiarono sul fiume,
ma lungo di esso. Non volevano reincontrare il Saguseo, non volevano doversela
vedere con barcaioli in preda al terrore isterico degli spiriti, volevano
innanzitutto poter stare tranquilli.
Certo, c’era il rischio di incontrare qualche malfattore
lungo la grande strada lastricata che procedeva verso nord-est, ma c’era anche
l’incredibile forza del massiccio Menkhu a proteggerli e scoraggiare i
malintenzionati.
Il viaggio di ritorno fu più lungo ovviamente, perché per la
maggior parte andarono a piedi, ma a loro non poteva importare. A Menkhu non
importava perché era un Sileno, abituato a camminare per lunghi tratti. A
Velthur non poteva importare perché aveva il mezzo per passare il tempo come
voleva lui. Ogni volta che si fermavano, tirava fuori il libro e cominciava a
studiarselo. Invano.
La sera dopo essere ripartiti da Enkar, nella camera della
locanda in cui si erano fermati, Velthur, nonostante la stanchezza, alla luce
della lampada perenne aveva cominciato a leggere gli enigmatici capitoli del
libro misterico.
Mentre leggeva, parlava a Menkhu senza accorgersi che stava
addormentandosi della grossa.
Nessun commento:
Posta un commento