lunedì 17 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di PIetro Trevisan: 222° pagina.


L’albero ornato dai mille ninnoli colorati e dalle lampade perenni si era ulteriormente abbellito con la neve, e la gente era convinta che quella festa del dopo solstizio avrebbe annunciato una primavera carica di fiori e frutti. Le cose sembravano voler andare bene. Sembravano.

Ma l’evento del prodigio al tumulo era troppo recente, e poi c’erano certe storie che piacevano troppo agli animi molto religiosi, in particolare quelli che tutti chiamavano ormai “i Risanati”.

C’erano stati non pochi casi di persone guarite da gravi infermità o da invalidità varie in occasione dell’evento prodigioso.

Naturalmente, erano molti gli infermi e gli invalidi che si erano recati al Santuario d’Ambra in occasione della visita della Regina, per ottenere la benedizione e sperare nella guarigione.

Nel Veltyan vigeva la credenza secondo cui se la Regina poneva le mani sopra un malato, questo sarebbe guarito grazie alla Luce di Sil trasmessa dalla regale persona consacrata, in quanto la Regina del Veltyan era una figura soprattutto religiosa, ancor prima che politica.

In quel caso, sembrava che tale credenza fosse stata confermata da parecchi poveracci capitati là. C’erano storpi che avevano visto raddrizzarsi la gamba e gobbi che avevano visto raddrizzarsi la schiena, naturalmente c’erano ciechi che avevano riacquistato la vista e sordi che avevano ripreso a sentire, e paralitici che avevano ripreso a camminare. Diversi lebbrosi erano guariti e avevano visto addirittura cominciare a ricrescere le dita delle mani e dei piedi, oltre che vedere il volto ricomporsi. Soprattutto parecchi psoriaci , con la pelle completamente devastata dalla malattia, videro sparire le macchie e le croste sulla loro pelle nel giro di pochi giorni.

Addirittura, pareva che un pellegrino che aveva avuto sempre il vizio di usare la mano destra per scrivere, divenne, se non mancino, almeno ambidestro, cosa che anche se non era vista come una normalità, almeno non era vista come un difetto.

Vanalashi Sakni, una povera donna di cinquant’anni rimasta sola con un figlio e senza nessuna erede femmina, dato che aveva adottato una bambina che poi le era morta, e che era diventata cieca a causa di una misteriosa malattia, aveva recuperato la vista e ora andava quasi ogni giorno in giro per il villaggio urlando come una matta le lodi di Sil e della Regina, dicendo a tutti di ringraziare costantemente gli Dei per poter ottenere doni belli come quello che aveva avuto lei.

In preda all’esaltazione religiosa, aveva dimenticato tutte le sue disgrazie e contribuiva validamente all’atmosfera di fanatismo religioso che ormai si stava diffondendo nel Veltyan a macchia d’olio. Quasi ogni giorno Vanalashi si recava al Santuario d’Ambra, e raccontava ai pellegrini il prodigio di cui era stata protagonista, di come i suoi occhi si erano aperti sul Sole Vermiglio, e aveva visto una figura splendente volare alta nel cielo, che naturalmente per lei era la stessa Sil.

Velthur non si faceva illusioni. Non sarebbe stato un Giorno del Sole Vittorioso sereno e felice, anche se le profezie delle Tre Madri del Fato non si fossero realizzate.

E alla fine venne la vigilia del Tinsi Garepanusil, innevata e scintillante sotto un cielo terso, appena offuscato da una leggera foschia di cristalli di ghiaccio sopra il bianco orizzonte.

La tormenta di neve dei giorni precedenti si era calmata, e aveva lasciato il posto a un sole sfolgorante, che era sorto in un’alba non rossa, ma dorata, da tanto era terso l’orizzonte.

La tormenta era stata per Velthur una scusa che aveva trovato per non recarsi all’eremo di Monte Leccio, ma una volontà superiore sembrava esprimersi in altro senso.

Guardando fuori dalla finestra del primo piano di casa sua, e vedendo le cime delle montagne che spuntavano a nord-est, completamente innevate, sfolgoranti nella loro gloria antica, si sentì senza scuse, come se la legge universale in cui credeva la dottrina dell’Aventry gli avesse ricordato il suo dovere di recarsi da Aralar per scoprire cosa stava facendo e fermarlo, se possibile.

Guarda caso, Menkhu si era svegliato anche lui dopo aver dormito, come al solito, sul tappeto del soggiorno. Una cosa che attirava sempre il disappunto della signora Mendibur, che si lamentava di trovare il tappeto pieno di lunghi peli rossi. Nelle notti precedenti non era uscito, a causa della lunga nevicata.
Mentre facevano colazione con i tradizionali dolci di frutta secca e miele e con il pane dolce con il miele e le nocciole del Tinsi Garepanusil, Menkhu gli disse che sarebbe andato all’eremo, a dare

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