«Perché, riesci ad immaginare qualcosa di peggio di quello
che abbiamo trovato qua fuori?».
«Menkhu, niente di quello che è successo l’avrei potuto
immaginare, e men che meno la fine di Aralar. Già quello che ho visto qui va
oltre ogni mia immaginazione, figuriamoci cosa potremmo trovare nel suo
maledetto laboratorio alchemico!».
«Oh, come sei bravo a incoraggiare la gente! Mi viene quasi
voglia di dirti di aprirla tu, la porta! In ogni caso, entri prima tu!»
Dal detto al fatto, Menkhu riuscì ad aprire la porticina
dell’eremo senza troppi problemi. In un paio di spallate, la porta si spalancò
cigolando sinistramente.
All’interno, era il buio più completo. Non si vedeva neanche
la luce della lampada perenne che Aralar teneva nel locale. Però si notava un
chiarore che traspariva da sotto il divisorio di legno che nascondeva il
laboratorio alchemico.
«Prego, dottore, entrate prima voi. Sicuramente voi siete
più esperto di me sull’argomento».
Con cautela, Velthur aprì la porticina nel divisorio, e per
la prima volta poté vedere il piccolo laboratorio alchemico di Aralar.
Rimase deluso, perché a parte uno strano e luminescente
tavolino a treppiede al centro della stanza, non c’era niente di strano in quel
luogo. Si era fatto chissà quali fantasie su quel laboratorio, e adesso vedeva
che non c’era nulla di diverso da un comune laboratorio di alchimia di
provincia, come se ne potevano vedere nelle farmacie di città, o nei laboratori
dei fabbri, dove gli alchimisti metallieri lavoravano per produrre materiali
speciali.
Ma alla luce del tavolino si accorsero che sul pavimento di
terra battuta c’era una larga macchia scura di bagnato, che aveva una forma
riconoscibile. Velthur si chinò per toccarla.
«Ora abbiamo trovato anche il suo sangue. Dev’essere qui che
è iniziato il suo assurdo smembramento. Quando la forza misteriosa l’ha preso e
fatto a pezzi, lui è caduto qui, sul pavimento, e il suo sangue vi si è
riversato tutto quanto, lasciando la forma del suo corpo. Senti l’odore
nell’aria? Ricorda quello di un maiale sventrato. Lui era attorno a questo
strano tavolino alchemico, di cui non ho mai visto niente di simile, e stava
compiendo chissà quale opera alchemica, quando è stato preso!».
«Quella forza o quell’entità misteriosa può prendere anche
noi, Velthur!».
«No, non credo. Ci avrebbe già presi, se fosse ancora nei
paraggi. L’opera che l’ha evocata è cessata, il meccanismo alchemico che Aralar
aveva creato non funziona più da quando ho fatto toccare i fili d’ambra
elastica al mio amuleto…. Guarda tu stesso!».
Velthur si tolse il tetraedro di argento alchemico dal collo
e lo avvicinò al tavolino. Nel momento in cui si avvicinò, il tetraedro divenne
sempre più brillante, fino a splendere quasi come una lampada perenne, mentre
il tavolino sprizzava scintille con uno strano crepitìo.
«Vedi? L’alchimia dei Nani interferisce con l’alchimia di
Aralar. Perché entrambe hanno a che fare con l’Altrove, e in qualche modo l’uno
altera l’altro!».
«Lo altera un po’ troppo, direi… o ho io le traveggole, o è
il tavolino che si sta deformando…. Ha come gli angoli sbagliati!».
Infatti, le scintille diminuirono, ma successe qualcos’altro
quando Velthur appoggiò il ciondolo sul tavolino. Sembrò incurvarsi e diventare
convesso, mentre anche le tre gambe a forma di sottile zampa di drago
sembrarono deformarsi anch’esse, seguendo la curvatura della tavola alchemica
che reggevano, mentre anche i geometrici disegni alchemici incisi sul tavolo
sembrarono cambiare. C’erano degli angoli acuti che sembravano diventare
ottusi, dei cubi che sembravano diventare piramidi, e pentacoli che sembravano
diventare prismi esagonali. Era un caos che sfidava le leggi della geometria.
«Toglilo di lì, non sappiamo cosa potrebbe succedere! Toglilo!».
Velthur non se lo fece ripetere.
«Bene, allora vediamo di togliere il disturbo prima che
venga qualcuno, ma prima voglio rovistare questo posto. Forse lui aveva un
libro dove scriveva i suoi esperimenti alchemici. Se lo trovassimo, forse
potremmo capire cosa stava facendo, per chi lo stava facendo e se c’è qualcun
altro che può farlo al suo posto. Facciamo presto!».
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