giovedì 27 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 232° pagina.


«Perché, riesci ad immaginare qualcosa di peggio di quello che abbiamo trovato qua fuori?».

«Menkhu, niente di quello che è successo l’avrei potuto immaginare, e men che meno la fine di Aralar. Già quello che ho visto qui va oltre ogni mia immaginazione, figuriamoci cosa potremmo trovare nel suo maledetto laboratorio alchemico!».

«Oh, come sei bravo a incoraggiare la gente! Mi viene quasi voglia di dirti di aprirla tu, la porta! In ogni caso, entri prima tu!»

Dal detto al fatto, Menkhu riuscì ad aprire la porticina dell’eremo senza troppi problemi. In un paio di spallate, la porta si spalancò cigolando sinistramente.

All’interno, era il buio più completo. Non si vedeva neanche la luce della lampada perenne che Aralar teneva nel locale. Però si notava un chiarore che traspariva da sotto il divisorio di legno che nascondeva il laboratorio alchemico.

«Prego, dottore, entrate prima voi. Sicuramente voi siete più esperto di me sull’argomento».

Con cautela, Velthur aprì la porticina nel divisorio, e per la prima volta poté vedere il piccolo laboratorio alchemico di Aralar.

Rimase deluso, perché a parte uno strano e luminescente tavolino a treppiede al centro della stanza, non c’era niente di strano in quel luogo. Si era fatto chissà quali fantasie su quel laboratorio, e adesso vedeva che non c’era nulla di diverso da un comune laboratorio di alchimia di provincia, come se ne potevano vedere nelle farmacie di città, o nei laboratori dei fabbri, dove gli alchimisti metallieri lavoravano per produrre materiali speciali.

Ma alla luce del tavolino si accorsero che sul pavimento di terra battuta c’era una larga macchia scura di bagnato, che aveva una forma riconoscibile. Velthur si chinò per toccarla.

«Ora abbiamo trovato anche il suo sangue. Dev’essere qui che è iniziato il suo assurdo smembramento. Quando la forza misteriosa l’ha preso e fatto a pezzi, lui è caduto qui, sul pavimento, e il suo sangue vi si è riversato tutto quanto, lasciando la forma del suo corpo. Senti l’odore nell’aria? Ricorda quello di un maiale sventrato. Lui era attorno a questo strano tavolino alchemico, di cui non ho mai visto niente di simile, e stava compiendo chissà quale opera alchemica, quando è stato preso!».

«Quella forza o quell’entità misteriosa può prendere anche noi, Velthur!».

«No, non credo. Ci avrebbe già presi, se fosse ancora nei paraggi. L’opera che l’ha evocata è cessata, il meccanismo alchemico che Aralar aveva creato non funziona più da quando ho fatto toccare i fili d’ambra elastica al mio amuleto…. Guarda tu stesso!».

Velthur si tolse il tetraedro di argento alchemico dal collo e lo avvicinò al tavolino. Nel momento in cui si avvicinò, il tetraedro divenne sempre più brillante, fino a splendere quasi come una lampada perenne, mentre il tavolino sprizzava scintille con uno strano crepitìo.

«Vedi? L’alchimia dei Nani interferisce con l’alchimia di Aralar. Perché entrambe hanno a che fare con l’Altrove, e in qualche modo l’uno altera l’altro!».

«Lo altera un po’ troppo, direi… o ho io le traveggole, o è il tavolino che si sta deformando…. Ha come gli angoli sbagliati!».

Infatti, le scintille diminuirono, ma successe qualcos’altro quando Velthur appoggiò il ciondolo sul tavolino. Sembrò incurvarsi e diventare convesso, mentre anche le tre gambe a forma di sottile zampa di drago sembrarono deformarsi anch’esse, seguendo la curvatura della tavola alchemica che reggevano, mentre anche i geometrici disegni alchemici incisi sul tavolo sembrarono cambiare. C’erano degli angoli acuti che sembravano diventare ottusi, dei cubi che sembravano diventare piramidi, e pentacoli che sembravano diventare prismi esagonali. Era un caos che sfidava le leggi della geometria.

«Toglilo di lì, non sappiamo cosa potrebbe succedere! Toglilo!».

Velthur non se lo fece ripetere.

«Bene, allora vediamo di togliere il disturbo prima che venga qualcuno, ma prima voglio rovistare questo posto. Forse lui aveva un libro dove scriveva i suoi esperimenti alchemici. Se lo trovassimo, forse potremmo capire cosa stava facendo, per chi lo stava facendo e se c’è qualcun altro che può farlo al suo posto. Facciamo presto!».

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