martedì 11 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 216° pagina.


La didascalia descriveva l’illustrazione con queste parole: L’Albero Cosmico, le cui radici affondano negli Abissi Splendenti.

La terzultima illustrazione invece mostrava Chtuchulcha nella Città dell’Abisso, in fondo al mare, a guardia di una grande porta aperta sul buio. La didascalia diceva soltanto: Il Terribile Guardiano della Soglia.

E Velthur si addormentò con la visione di Chtuchulcha ancora negli occhi, domandandosi se potesse esistere veramente.

Certo, lui non credeva negli Dei, ma a volte gli venivano dei dubbi.

In fin dei conti, la sua religione non gli impediva di credere che esistessero nell’universo mondo creature del tutto sconosciute, dai poteri e dalla natura molto superiori a quelli delle Sette Stirpi di Kellur. Forse quegli esseri erano stati considerati Dei o Demoni in un passato remoto per i loro superiori poteri, ed erano passati nei miti dei popoli di Kellur.

Forse, era possibile che alcuni di quegli esseri fossero dietro tutto quello che stava succedendo, e dietro lo stesso libro che stava tenendo in mano. Forse quelle creature, immensamente più sapienti non solo degli Uomini, ma anche delle Fate, dei Nani e dei Tritoni, e molto più antichi, avevano insegnato le loro conoscenze in un passato remoto alle Sette Stirpi di Kellur, prima di andarsene da quel reame mortale, ed ora forse stavano tornando, o tentando di tornare.

E forse Aralar aveva stretto con loro un patto diabolico, per ottenere il potere che gli serviva per rovesciare il Regno Aureo.

Rabbrividì, al pensiero di ciò che forse si nascondeva là fuori a sua insaputa, nel buio dell’inverno ormai alle porte. Il solstizio d’inverno era ormai prossimo, e forse Aralar stava per realizzare il suo folle progetto, qualunque esso fosse.

Ci misero due giorni e mezzo per tornare a casa, perché non furono fortunati nel trovare un passaggio da qualche carro. Menkhu faceva paura a troppe persone che guardavano storto il suo pelo rosso. Se Velthur non amava andare a cavallo, Menkhu non voleva neanche sentirne parlare, e perciò andarono a piedi dall’inizio alla fine, tra l’altro in una stagione che non era delle migliori per viaggiare.

Menkhu era abituato a camminare a lungo in ogni stagione, come tutti quelli della stirpe silenica, ma Velthur, anche se abituato alle grandi camminate, non aveva la forza di un Sileno.

In certi momenti, Menkhu era arrivato a caricarsi in spalla il dottore quando si sentiva troppo stanco.

«Mio padre mi aveva detto che gli Uomini sono tanto più deboli e fragili di noi, ma non immaginavo così tanto. È per questo che avete bisogno di così tanti accessori e di animali da soma che fanno il lavoro per voi?» gli disse poco prima di arrivare a Sartiuna, quando ormai il sole era tramontato da un pezzo.

«Decisamente sì, amico mio. È anche per questo che i miei simili a volte hanno paura dei Sileni. Paura e probabilmente anche parecchia invidia».

«Invidia per cosa? Per i peli? O per le orecchie a punta?».

«Forse anche per quello. Ma soprattutto per il fatto di non dover dipendere da niente e da nessuno. I deboli invidiano sempre i forti».

«Dal nostro punto di vista, sono gli Uomini i più forti di tutti. Sono dappertutto, a differenza di noi, delle Fate e dei Nani».

«Chissà se è veramente così… il mondo è tanto grande e ancora in gran parte sconosciuto».

Anche quella sera, in una locanda di Sartiuna, Velthur si studiò il libro maledetto, alla ricerca di ulteriori indizi, ma fece scarsi progressi.

Parlò a lungo con Menkhu di ciò che gli sembrava di capire, e delle cose che gli apparivano più misteriose.

«Ci sono simboli che mi sembrano particolarmente importanti, ma che mi sono del tutto sconosciuti. Per esempio, l’Albero Cosmico sopra il lago di fuoco, i cosiddetti Abissi Splendenti….».

«Io l’Albero Cosmico so cos’è! Una delle tante cose che mi ha narrato mio padre».

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