La didascalia descriveva l’illustrazione con queste parole: L’Albero Cosmico, le cui radici affondano
negli Abissi Splendenti.
La terzultima illustrazione invece mostrava Chtuchulcha
nella Città dell’Abisso, in fondo al mare, a guardia di una grande porta aperta
sul buio. La didascalia diceva soltanto: Il
Terribile Guardiano della Soglia.
E Velthur si addormentò con la visione di Chtuchulcha ancora
negli occhi, domandandosi se potesse esistere veramente.
Certo, lui non credeva negli Dei, ma a volte gli venivano
dei dubbi.
In fin dei conti, la sua religione non gli impediva di
credere che esistessero nell’universo mondo creature del tutto sconosciute, dai
poteri e dalla natura molto superiori a quelli delle Sette Stirpi di Kellur.
Forse quegli esseri erano stati considerati Dei o Demoni in un passato remoto
per i loro superiori poteri, ed erano passati nei miti dei popoli di Kellur.
Forse, era possibile che alcuni di quegli esseri fossero
dietro tutto quello che stava succedendo, e dietro lo stesso libro che stava
tenendo in mano. Forse quelle creature, immensamente più sapienti non solo
degli Uomini, ma anche delle Fate, dei Nani e dei Tritoni, e molto più antichi,
avevano insegnato le loro conoscenze in un passato remoto alle Sette Stirpi di
Kellur, prima di andarsene da quel reame mortale, ed ora forse stavano
tornando, o tentando di tornare.
E forse Aralar aveva stretto con loro un patto diabolico,
per ottenere il potere che gli serviva per rovesciare il Regno Aureo.
Rabbrividì, al pensiero di ciò che forse si nascondeva là
fuori a sua insaputa, nel buio dell’inverno ormai alle porte. Il solstizio
d’inverno era ormai prossimo, e forse Aralar stava per realizzare il suo folle
progetto, qualunque esso fosse.
Ci misero due giorni e mezzo per tornare a casa, perché non
furono fortunati nel trovare un passaggio da qualche carro. Menkhu faceva paura
a troppe persone che guardavano storto il suo pelo rosso. Se Velthur non amava
andare a cavallo, Menkhu non voleva neanche sentirne parlare, e perciò andarono
a piedi dall’inizio alla fine, tra l’altro in una stagione che non era delle
migliori per viaggiare.
Menkhu era abituato a camminare a lungo in ogni stagione,
come tutti quelli della stirpe silenica, ma Velthur, anche se abituato alle
grandi camminate, non aveva la forza di un Sileno.
In certi momenti, Menkhu era arrivato a caricarsi in spalla
il dottore quando si sentiva troppo stanco.
«Mio padre mi aveva detto che gli Uomini sono tanto più
deboli e fragili di noi, ma non immaginavo così tanto. È per questo che avete
bisogno di così tanti accessori e di animali da soma che fanno il lavoro per
voi?» gli disse poco prima di arrivare a Sartiuna, quando ormai il sole era
tramontato da un pezzo.
«Decisamente sì, amico mio. È anche per questo che i miei
simili a volte hanno paura dei Sileni. Paura e probabilmente anche parecchia
invidia».
«Invidia per cosa? Per i peli? O per le orecchie a punta?».
«Forse anche per quello. Ma soprattutto per il fatto di non
dover dipendere da niente e da nessuno. I deboli invidiano sempre i forti».
«Dal nostro punto di vista, sono gli Uomini i più forti di
tutti. Sono dappertutto, a differenza di noi, delle Fate e dei Nani».
«Chissà se è veramente così… il mondo è tanto grande e
ancora in gran parte sconosciuto».
Anche quella sera, in una locanda di Sartiuna, Velthur si
studiò il libro maledetto, alla ricerca di ulteriori indizi, ma fece scarsi
progressi.
Parlò a lungo con Menkhu di ciò che gli sembrava di capire,
e delle cose che gli apparivano più misteriose.
«Ci sono simboli che mi sembrano particolarmente importanti,
ma che mi sono del tutto sconosciuti. Per esempio, l’Albero Cosmico sopra il
lago di fuoco, i cosiddetti Abissi Splendenti….».
«Io l’Albero Cosmico so cos’è! Una delle tante cose che mi
ha narrato mio padre».
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