che ancora adesso gli faceva male. Inoltre, si vedeva che
era lo scheletro di un uomo di piccola statura.
Il problema era che anche lo scheletro era perfettamente
ripulito in tutte le sue parti, e non si vedeva una sola goccia di sangue, come
se fosse lì da molto tempo, completamente spolpato e ripulito dai predatori e
dalle formiche. Ma esaminandolo meglio, Velthur notò che non era esattamente
così, infatti si accorse subito che aveva anche tutte le cartilagini intatte e
al loro posto. Addirittura, la cartilagine del naso era ancora attaccata ai
buchi delle cavità nasali, e così anche tutte le altre ossa, risultavano ancora
l’una attaccata all’altra. E lo scheletro era ancora caldo, anormalmente caldo.
«No, se la pelle è qualcosa di impossibile, lo scheletro è
ancora peggio! Come hanno fatto a estrarre le ossa mantenendole tutte attaccate
fra loro, senza lacerare la pelle? È sempre più assurdo!»
«Io invece mi domando: chi è stato?».
«Beh, l’unica è vedere se ci sono altre tracce qua attorno…
e con cautela. Ma teniamoci pronti a scappare anche noi, che forse è l’unica
cosa saggia che potremmo fare!».
Velthur cominciò a cercare con lo sguardo nel bosco oltre la
radura, fino a quando non si accorse di qualcos’altro, appeso guarda caso a un
leccio da cui pendevano anche altri fili ambrati. Un’altra cosa bianca, che non
riusciva a identificare. Sembrava una matassa di fili bianchi.
Fece il gesto a Menkhu di seguirlo, ma il Sileno rimase a
distanza, e forse fu meglio per lui.
Quando Velthur si fu avvicinato, se non fosse stato un
medico abituato a ogni sorta di spettacolo rivoltante, avrebbe sicuramente
vomitato per l’orrore, il disgusto e la paura.
Appeso a un albero, mollemente adagiato all’incrocio di
quattro fili ambrati, stava un cervello umano perfettamente integro, dal cui
retro pendeva il midollo spinale e tutte le diramazioni dei nervi del corpo. Si
poteva vedere che la perfetta rete dei nervi disegnava le braccia, le mani, le
gambe, i piedi, persino il pene, partendo dal cordone principale contenuto
nella colonna vertebrale. E tutto quel sistema nervoso era perfettamente
integro.
Il tutto dava l’idea
quasi di un essere mostruoso e filamentoso impiccato ai fili pendenti
dall’albero. Ma il particolare più mostruoso erano i due occhi, perfettamente
integri e collegati dai nervi al cervello, penzolanti e mossi dalla
leggerissima brezza che si faceva sentire tra gli alberi, e che sembravano
guardare i due con stupore, come se il loro proprietario si chiedesse come
poteva aver fatto quella fine.
E naturalmente, anche lì non c’era una sola goccia di
sangue, e il cervello fumava, da tanto emanava ancora calore corporeo.
Anche se ormai Velthur era praticamente paralizzato
dall’orrore, notò un altro particolare anomalo. Dalla parte posteriore
del cervello, pendeva la ghiandola pineale stranamente ingrossata, enorme quasi
come i globi oculari.
Più tardi, Velthur avrebbe scoperto che nella parte posteriore
del cranio dello scheletro trovato nella neve c’era una strana infossatura, una
sorta di buco nel cranio chiuso solo da una sottile cartilagine, proprio in
corrispondenza della ghiandola pineale, e che sembrava essere simile a
un’orbita oculare.
Quando riuscì a riprendere il respiro, Velthur indietreggiò
senza poter distogliere lo sguardo da ciò che aveva di fronte, e trovò le
parole per spiegare a Menkhu ciò che il Sileno non osava vedere da vicino.
«Sono riusciti a strappargli tutto il sistema dei nervi e
del cervello in un colpo solo, tutto il sistema nervoso senza spezzare un solo
legame, non solo senza spappolare i globi oculari e il cervello, ma addirittura
facendoli uscire dal cranio senza romperlo! Menkhu, questa è peggio che
stregoneria. È il più spaventoso prodigio che un medico possa vedere in vita
sua, e credo anche chiunque altro. Non riesco a immaginare niente di più
irreale!».
«Velthur…. non è finita…. Guarda più in là, credo che ci sia
il resto da vedere…..in un corpo c’è molto di più di pelle, ossa e nervi, no?».
Infatti a una ventina di metri, in un altro punto del bosco,
c’erano altre due cose inidentificabili appoggiate sulla neve, a una distanza
di due o tre metri l’una dall’altra, e una appariva di un roseo acceso, mentre
l’altro sembrava un altro groviglio, ma di un colore fra l’azzurro e il
purpureo.
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