martedì 25 ottobre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 230° pagina.


che ancora adesso gli faceva male. Inoltre, si vedeva che era lo scheletro di un uomo di piccola statura.

Il problema era che anche lo scheletro era perfettamente ripulito in tutte le sue parti, e non si vedeva una sola goccia di sangue, come se fosse lì da molto tempo, completamente spolpato e ripulito dai predatori e dalle formiche. Ma esaminandolo meglio, Velthur notò che non era esattamente così, infatti si accorse subito che aveva anche tutte le cartilagini intatte e al loro posto. Addirittura, la cartilagine del naso era ancora attaccata ai buchi delle cavità nasali, e così anche tutte le altre ossa, risultavano ancora l’una attaccata all’altra. E lo scheletro era ancora caldo, anormalmente caldo.

«No, se la pelle è qualcosa di impossibile, lo scheletro è ancora peggio! Come hanno fatto a estrarre le ossa mantenendole tutte attaccate fra loro, senza lacerare la pelle? È sempre più assurdo!»

«Io invece mi domando: chi è stato?».

«Beh, l’unica è vedere se ci sono altre tracce qua attorno… e con cautela. Ma teniamoci pronti a scappare anche noi, che forse è l’unica cosa saggia che potremmo fare!».

Velthur cominciò a cercare con lo sguardo nel bosco oltre la radura, fino a quando non si accorse di qualcos’altro, appeso guarda caso a un leccio da cui pendevano anche altri fili ambrati. Un’altra cosa bianca, che non riusciva a identificare. Sembrava una matassa di fili bianchi.

Fece il gesto a Menkhu di seguirlo, ma il Sileno rimase a distanza, e forse fu meglio per lui.

Quando Velthur si fu avvicinato, se non fosse stato un medico abituato a ogni sorta di spettacolo rivoltante, avrebbe sicuramente vomitato per l’orrore, il disgusto e la paura.

Appeso a un albero, mollemente adagiato all’incrocio di quattro fili ambrati, stava un cervello umano perfettamente integro, dal cui retro pendeva il midollo spinale e tutte le diramazioni dei nervi del corpo. Si poteva vedere che la perfetta rete dei nervi disegnava le braccia, le mani, le gambe, i piedi, persino il pene, partendo dal cordone principale contenuto nella colonna vertebrale. E tutto quel sistema nervoso era perfettamente integro.

 Il tutto dava l’idea quasi di un essere mostruoso e filamentoso impiccato ai fili pendenti dall’albero. Ma il particolare più mostruoso erano i due occhi, perfettamente integri e collegati dai nervi al cervello, penzolanti e mossi dalla leggerissima brezza che si faceva sentire tra gli alberi, e che sembravano guardare i due con stupore, come se il loro proprietario si chiedesse come poteva aver fatto quella fine.

E naturalmente, anche lì non c’era una sola goccia di sangue, e il cervello fumava, da tanto emanava ancora calore corporeo.

Anche se ormai Velthur era praticamente paralizzato dall’orrore, notò un altro particolare anomalo. Dalla parte posteriore del cervello, pendeva la ghiandola pineale stranamente ingrossata, enorme quasi come i globi oculari.

Più tardi, Velthur avrebbe scoperto che nella parte posteriore del cranio dello scheletro trovato nella neve c’era una strana infossatura, una sorta di buco nel cranio chiuso solo da una sottile cartilagine, proprio in corrispondenza della ghiandola pineale, e che sembrava essere simile a un’orbita oculare.

Quando riuscì a riprendere il respiro, Velthur indietreggiò senza poter distogliere lo sguardo da ciò che aveva di fronte, e trovò le parole per spiegare a Menkhu ciò che il Sileno non osava vedere da vicino.

«Sono riusciti a strappargli tutto il sistema dei nervi e del cervello in un colpo solo, tutto il sistema nervoso senza spezzare un solo legame, non solo senza spappolare i globi oculari e il cervello, ma addirittura facendoli uscire dal cranio senza romperlo! Menkhu, questa è peggio che stregoneria. È il più spaventoso prodigio che un medico possa vedere in vita sua, e credo anche chiunque altro. Non riesco a immaginare niente di più irreale!».

«Velthur…. non è finita…. Guarda più in là, credo che ci sia il resto da vedere…..in un corpo c’è molto di più di pelle, ossa e nervi, no?».

Infatti a una ventina di metri, in un altro punto del bosco, c’erano altre due cose inidentificabili appoggiate sulla neve, a una distanza di due o tre metri l’una dall’altra, e una appariva di un roseo acceso, mentre l’altro sembrava un altro groviglio, ma di un colore fra l’azzurro e il purpureo.

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