lunedì 1 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 22° pagina.


Tutti i ragazzi e i bambini del paese conoscevano bene Prukhu, perché per loro era una figura divertente e amichevole. Era un Sileno e per questo solo fatto piaceva ai bambini. L’unico Sileno del villaggio di Arethyan, perché gli altri Sileni vivevano nelle foreste delle colline e si facevano vedere solo di tanto in tanto da quelle parti.

Da tanti anni faceva il pastore per una ricca possidente della zona, una sacerdotessa che gli aveva affidato un gregge di pecore che pascolavano nella campagna oltre il fiume, verso la pianura aperta. Prukhu era uno di quei Sileni che, a furia di frequentare i contadini e a diventare loro amici, avevano finito per lasciare la selvaggia vita dei boschi, libera e spensierata, ma forse troppo monotona per qualcuno di loro, attirato dalle molte cose strane e belle della vita degli Uomini.

Vivendo con la stirpe degli Uomini, aveva imparato a portare un paio di corte braghe e una corta tunica senza maniche, e un gran cappello da contadino che gli nascondeva un po’ la folta capigliatura ricciuta e bianco-grigia, da sotto il quale brillavano i suoi grandi occhi gialli e a mandorla, appena nascosti da due sopracciglia foltissime e lunghissime, che erano un tutt’uno con i capelli sovrastanti.

Prukhu, come tutti quelli della sua specie, era un gran narratore. Conosceva storie e leggende antiche di tutti i tipi, grandi e bambini amavano sentirsi raccontare storie incredibili, che parlavano di tempi e paesi lontani, di cui non si sapeva se fossero invenzioni sue o che lui aveva ascoltato chissà dove e chissà da chi, ma di questo non importava a nessuno.

I momenti più belli da vivere con lui erano d’inverno. In quella stagione, le greggi vivevano ritirate nei grandi capannoni di legno catramato in cui erano usi tenere le bestie i grandi possidenti terrieri, perché spesso d’inverno la neve cadeva copiosa in quelle regioni, fin quasi a raggiungere i davanzali delle finestre.

Prukhu però non ne voleva sapere di vivere continuamente chiuso fra stalle e fattorie, neanche quando i campi erano coperti di neve, neanche per stare dietro alle sue amate pecore.

Così la sua padrona, sapendo come è il carattere dei Sileni, non gli chiedeva nessun servigio in quella stagione, e lui se ne andava per conto suo come un vagabondo, a chiedere ospitalità ai contadini lungo il corso dell’Eydin, chiedendo di poter dormire nelle loro stalle e di poter condividere le loro mense in cambio di qualche lavoretto e soprattutto delle sue doti di intrattenitore.

Nelle lunghe sere d’inverno, quando le donne filavano nelle stalle e per far passare il tempo ci si raccontava le storie e le leggende della tradizione, lui era il re indiscusso dei sogni e dei miti di mille mondi incantati e di mille misteri tenebrosi.

Arrivava come un ospite inatteso, bussando alle porte al calar del sole, sbucando dal buio come un gatto silenzioso, senza alcuna paura dei lupi o del freddo o di qualche malfattore. Perché i Sileni erano tutt’uno con il mondo della foresta, e ne erano i signori.

I Sileni, si sa, hanno uno sguardo che penetra nelle tenebre, non hanno bisogno di torce né di lampade, e sono dotati di una forza spaventosa, come dimostrano i loro corpi massicci e muscolosi, coperti di una fitta e corta pelliccia che li protegge dal freddo. Si diceva che potessero ammazzare un lupo a mani nude, ma si diceva anche che i lupi fossero loro amici e che i briganti avessero paura di loro, perché non potevano accorgersi della loro presenza nell’oscurità, dato che oltre ad avere la vista come quella dei gatti, avevano anche la silenziosità dei gatti.

Compariva sulla soglia con il suo cappellaccio grigio e il suo mantello di pelliccia di pecora, armato solo del suo grosso bastone da pastore, e chiedeva umilmente di poter scaldare al fuoco i suoi grossi piedi nudi e le sue strane orecchie grandi e appuntite.

Dopo aver ringraziato dell’ospitalità, di fronte al caminetto con in mano una tazza di vino caldo, cominciava ad ammaliare chi l’aveva ospitato con notizie e vicende di luoghi lontani.

Non si sapeva come fosse possibile, ma sembrava sapere tutto di tutti, e molte volte si era potuto dimostrare che non potevano essere tutte invenzioni della sua fantasia quando, magari a distanza di mesi, o addirittura di anni, si erano potuti trovare riscontri da altre fonti.

Spesso le sue storie erano tenebrose, enigmatiche, e provava gusto a raccontare storie del genere proprio perché vedeva che erano i suoi astanti che desideravano sentire storie così.

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