martedì 23 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 44° pagina.


Regine che avevano regnato a lungo, anche più di cinquant’anni, altre che avevano regnato per breve tempo, anche solo pochi mesi, regine che avevano fatto grandi cose e regine che erano passate nella storia senza lasciarvi alcuna traccia. Regine di tutti i tipi, ma a lui in quel momento gli interessava sapere di una sola.

Andò in fondo all’elenco e risalì i nomi delle monarche matriarcali del suo paese, dalla più recente alla più antica.

Finché la trovò, proprio là dove temeva di trovarla. La regina Xestinei III, che aveva regnato dal 2773 al 2817 d. F. R. Cioè era la Kyrenni  regnante durante la misteriosa scomparsa dei Valgiglini.

Poteva spiegare la cosa sempre con la teoria che lei, dopo aver subito il trauma che le aveva in parte cancellato la memoria, avesse confuso fantasia con realtà, e credesse di essere vissuta nell’epoca in cui la Valle dei Gigli era stata abitata.

O poteva cominciare a considerare l’assurda possibilità che lei provenisse da un lontano passato, e che si fosse mantenuta giovane e bella per ben tre secoli, prima di perdere la memoria.

Avrebbe potuto mettersi a cercare, quella sera, nei suoi libri di eventi misteriosi, e trovare un caso del genere, ma pensò bene a trattenersi.

Doveva fare quell’esperimento di ipnosi. Era parecchio tempo che non praticava l’ipnosi. L’anno scorso era venuto da lui un sacerdote che aveva il vizio del bere vino drogato, e gli aveva chiesto di ipnotizzarlo per liberarlo della sua dipendenza.

In genere l’aveva usato per cose non particolarmente invasive. Gente che voleva smettere di bere, di drogarsi, o che aveva troppa paura del buio, o dei ragni, o altre fobie. Non gli era mai capitato un caso di amnesia, e quindi sarebbe stato un po’ un salto nel buio.  Gli era già capitato invece di fare alcune esperienze di regressione ipnotica.

Uno dei motivi per cui aveva fatto esperimenti del genere era la sua appartenenza religiosa. L’Aventry credeva nella reincarnazione, e alcuni Avennar credevano che esplorare le proprie vite precedenti fosse un modo per conoscere meglio se stessi. Così l’ipnosi era diventata uno dei mezzi con cui nelle comunità dell’Aventry si praticava una sorta di iniziazione spirituale.

All’inizio, con l’entusiasmo della gioventù, Velthur aveva messo il suo talento medico al servizio di queste esperienze, quando qualche Avennar, preso da un disagio esistenziale, si rivolgeva a lui per cercare nelle proprie vite passate l’origine del suo malessere.

All’inizio aveva trovato la cosa affascinante, poi a un certo punto aveva cominciato a rimanere perplesso. Si era spesso domandato se in realtà i ricordi che sembravano venire rievocati da altre esistenze fossero in realtà frutto di fantasie inconsce del soggetto ipnotizzato, e alla fine aveva abbandonato certi esperimenti, soprattutto dopo che l’ultimo caso di regressione ipnotica si era dimostrato troppo anomalo e assurdo per essere verosimile.

Ricordava bene ancora il caso di quella strana donna che, ossessionata da incubi e terrori notturni, aveva rievocato un’esistenza passata che non poteva essere vera, perché ricordava di essere addirittura vissuta in un altro mondo, e di non essere stata un essere umano, ma una creatura mostruosa e dall’aspetto allucinante.

Fu un’esperienza così negativa, soprattutto per la persona ipnotizzata, che decise di non praticare più l’ipnosi regressiva, se non per casi particolarmente gravi.

Per lui, quell’episodio era stata la dimostrazione che l’ipnosi poteva non solo far risalire ricordi reali, ma anche probabilmente gli incubi dimenticati che avevano funestato le notti del paziente, o i terrori infantili che risalivano dall’angolo buio in cui erano stati scaccaiti dalla vita adulta.

Andò nel suo laboratorio, e tirò fuori uno strumento che aveva riposto in una teca da parecchio tempo: uno specchio alchemico, uno di quelli creati proprio per provocare l’ipnosi.

Lo specchio alchemico era un disco opalescente con una spessa cornice ottagonale di legno, largo all’incirca una quarantina di centimetri e con un piccolo piedistallo regolabile sul retro.

Controllò che funzionasse ancora. Sfiorò la superficie lucente con le dita, e mandò un comando mentale. La superficie opalescente cominciò a ruotare in un caleidoscopio di segmenti che formavano un vortice di riflessi iridati che sembrava far spingere la superificie di opale dall’esterno verso l’interno. L’illusione creata dallo specchio funzionava correttamente.

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