venerdì 12 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 33° pagina.


Il loro comportamento, non appena erano giunti nella valle con i primi pionieri, era stato molto strano. Sembravano perennemente nervosi, inquieti, e la notte ululavano alle ombre con lunghi, lugubri ululati, che facevano letteralmente impazzire i contadini.

Se non erano nervosi e aggressivi, sembravano come paralizzati. Rimanevano in allarme come se ascoltassero qualcosa che sentivano solo loro.

Le cagne non riuscivano a portare a termine le gravidanze, abortivano tutte dopo una settimana o due. E se venivano liberati dalle catene, fuggivano e sparivano tutti uno dopo l’altro.

Alla fine i contadini si rassegnarono: i cani non volevano saperne di quella valle, e già quello aveva suscitato ogni genere di superstizione, ma d’altra parte si trattava di gente molto povera e disperata, alla ricerca di una vita migliore, e lì nella Valle dei Gigli, a parte i problemi con gli animali, l’avevano trovata.

Infatti i raccolti erano sempre molto ubertosi. La Valle sembrava essere protetta dalle altissime cime contro le intemperie. Le estati erano torride, ma gli inverni erano miti, non cadeva mai molta neve. Non c’era mai siccità, i boschi erano sempre ricchi di frutti selvatici e funghi. I frutteti di mele prosperavano un po’ dappertutto nella valle, e producevano mele dolcissime, che davano un ottimo sidro.

In più c’era anche una ricca e vasta miniera di rame, che procurava prosperità a molti.

Molti artigiani del rame lavoravano il minerale grezzo della miniera, e vendevano i loro prodotti ai mercanti che passavano di là.

Certo, non si potevano tenere cani da guardia, ma in fin dei conti non ce n’era bisogno: né animali feroci, né briganti, né le tribù di predoni dell’oriente o del settentrione arrivavano in quel luogo.

In compenso, i valligiani erano riusciti ad addomesticare quei grossi e scuri gatti selvatici, che erano sì molto strani, ma erano degli ottimi sostituti dei cani da guardia, dato che erano grossi quasi quanto un cane di media stazza, ed erano molto attaccati ai loro padroni.

Ma anch’essi si comportavano in modo strano, a volte. E cominciarono a correre molte dicerie e superstizioni anche su di loro.

Si sa, i gatti vedono nel buio e a volte sembrano guardare nel vuoto, come se fissassero qualcosa che è visibile solo a loro. Ma i gatti della Valle dei Gigli, non sembravano semplicemente fissare a volte nel vuoto, sembrava che tenessero d’occhio delle vere e proprie presenze accanto a loro.

A volte, soprattutto la sera, li si vedeva appostarsi di fronte alla porta d’entrata, e guardarla come se si aspettassero che qualcuno fosse sul punto di entrarvi.

Dopo molti anni, nella Valle dei Gigli correvano molte strane dicerie sul conto dei suoi gatti addomesticati. Si narrava che alcuni gatti, in piena notte, dormendo accanto o sopra il letto dei padroni, si svegliassero all’improvviso e cominciassero a vagare per la casa come se inseguissero qualcosa di invisibile che volava nell’aria. E, a volte, rizzavano il pelo e cominciavano a miagolare e lanciare zampate nell’aria, come se aggredissero un nemico invisibile.

Altre volte, si diceva, si riunivano in gruppi nei campi e nei cortili, come soldati schierati pronti alla difesa, e sembravano fissare qualcosa che si muoveva nell’aria.

La gente della valle cominciò a considerarli degli amuleti contro gli spiriti maligni, come una sorta di guardiani contro i demoni, che invece terrorizzavano i cani.

Passarono  parecchi anni dagli episodi della ragazza morta nella radura e del contadino divenuto muto per una sconosciuta visione spaventosa.

Fu nel 2789 che ricominciarono ad avvenire altri fenomeni paurosi, che andavano molto aldilà delle strane luci notturne sulle cime o nelle profondità dei boschi, o delle sparizioni rimaste irrisolte, e che comunque non erano certo moltissime. Erano molte di più le morti per incidenti acclarati, o per malattia, o per faide fra famiglie.

Fu nell’inverno di quell’anno, che cominciarono a udirsi quegli strani suoni in tutta la valle.

Era come un suono basso, profondo ma fortissimo, che non si riusciva a capire da dove provenisse, e che si propagava nella valle fino alle cime inviolate. Stranamente, però, non provocava valanghe. Sembrava qualcosa di simile al suono musicale di un corno, o di una tromba, e a volte sembrava di poter udire una sorta di coro di voci.

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