mercoledì 10 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 31° pagina.


«Non lo so! Chi mi ha sentito non capiva neanche di cosa parlavo, è il mio amico, quello che mi ha lasciato addormentato nel suo fienile, che mi ha riferito cosa ho detto. Ma non si ricorda molto di questo. Forse non ho detto niente, ma è stato sufficiente che li abbia nominati. Quelli bisogna, se possibile, fare a meno persino di pensarli, figurati nominarli!».

«Credi di averli evocati?».

«No, non credo. Ma quello che credo io non ha nessuna importanza. Ma potrebbero essere…io temo siano vicini. Non so come, non so dove, ma devono essere qui, nei paraggi. È per questo che non vedo l’ora di andarmene!»

«Va bene, parlerò con Kai e….».

Ma Prukhu era già fuggito dalla stanza, con una rapidità incredibile, la velocità di un Sileno che era cresciuto e vissuto correndo nei boschi come una lepre o un cervo inseguito dai cacciatori.

Velthur sentì la porta d’entrata sbattere violentemente, e quando corse fuori, non c’era più nessuno nella piccola piazza di fronte a casa sua.

Gli sembrò però che ci fosse un’ombra oltre l’entrata illuminata del tempio dall’altra parte della piazza. Forse era Prukhu, che si era rifugiato nel tempio per la notte, per sentirsi al sicuro dalle ombre minacciose che sembravano averlo terrorizzato.

Velthur non pensò di andare ad indagare. Non aveva importanza. Sapeva che qualsiasi cosa avesse potuto dire o fare, non avrebbe potuto cambiare niente.

Rientrò in casa, addolorato al pensiero di aver perso un vecchio amico.

Di amicizie perse in modo tragico, o semplicemente assurdo e doloroso, ne aveva avute già parecchie nella sua lunga vita, ma questa volta gli sembrava veramente una storia troppo insensata..

Sentì tutto il rimpianto di non aver potuto andare alla festa di Tinsi Kerris, di non aver potuto assistere di persona a quello che era successo.

Si ripromise di andare senza indugio dalla giovane Kai per cercare di chiarire quella pazzesca vicenda.

E se non ci fosse riuscito, avrebbe chiesto udienza alla Regina delle Fate, sulle Colline di Leukun.

Quella notte non riuscì a dormire per l’ansia e l’agitazione che gli facevano rimuginare all’infinito la situazione.

Nel silenzio della notte, la mente di Velthur cominciò a divagare, e gli venne in mente Thymrel, la strana ragazza ritrovata in riva al fiume da Larsin Ferstran. La ragazza che diceva di venire dalla misteriosa ed oscura Valle dei Gigli.

Prukhu aveva saputo qualcosa di quella ragazza? No, altrimenti ne avrebbe parlato. Il vecchio sileno raccoglieva tutte le storie più strane dovunque le trovasse. E quante volte aveva raccontato anche lui la storia della Valle dei Gigli e del suo agghiacciante mistero.

Rimase a rigirarsi per un’ora nel letto, in preda ai tormenti dell’insonnia, fino a quando si decise ad alzarsi dal letto e a scoprire dal suo velo nero la lampada perenne della sua camera da letto.

«Per tutti i Santi!» mormorò alle ombre. «Sto qui a rimuginare sopra un cumulo di sciocchezze verificatesi per una malaugurata coincidenza! Non c’è niente, niente su cui vale la pena rimuginare. Una giovane pazza che dice di venire dal nulla, un vecchio ubriacone vittima delle sue paure e di vecchie, folli tradizioni di un branco di selvaggi, e un’altra giovane che ha avuto una allucinazione dovuta ai fumi dell’alcool!»

Si recò al suo studio tenendo in mano l’alchemica lampada perenne, che oscillava dal sottile manico di rame, gettando ombre danzanti nel corridoio con la sua fredda luce color azzurro ghiaccio.

Entrato nello studio, prese in fretta quel libro che aveva ricominciato a leggere poco tempo prima, L’Ombra delle Leggende di Perun Oyarsun.

Aveva lasciato il segnalibro sulla pagina in cui aveva dovuto interrompere la lettura, qualche giorno prima, quando aveva cercato di rileggere la paurosa vicenda della Valle dei Gigli.

Dato che non riusciva a dormire, l’unica era cercare di liberarsi di quei pensieri cercando di entrarvi fino in fondo, nella speranza di avere la riprova che le sue elucubrazioni erano solo vuote fantasie.

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