Speravo, mi illudevo di non avere conseguenze, ma oggi… ho
ricevuto un messaggero. E ora so di dovermene andare via».
«Hai intenzione di spiegarmi cosa è successo o devo
indovinarlo?».
Il tono di Prukhu cambiò. Sembrava arrabbiato, ma di una
rabbia che rivelava disperazione.
«Cosa vuoi sapere, Velthur? Cosa vuoi sapere di più di
quello che sai già? Sapevi bene che io ero legato a un patto di segretezza, che
chi frequenta o ha frequentato il belk
non può rivelare a nessun profano ciò che gli è stato rivelato, non può nemmeno
nominare ad alta voce certe cose, nemmeno quando è solo, per non evocarle! E io
l’ho fatto! Ho nominato Quelli mentre ero nel delirio del vino, li ho nominati
ad alta voce, e tutte le persone che mi erano accanto mi hanno ascoltato! Non
avevo mai fatto niente del genere in vita mia! E ora devo pagare il mio errore.
Devo lasciare questo luogo per non attirare disgrazie su di esso e su me
stesso!».
«E dove andrai, Prukhu?».
«Dove vuoi che vada? Torno dai miei, dalla Gente dei Boschi,
per essere giudicato. Non credo che potrò mai tornare. La visione di quello che
ho fatto è giunta alla Regina delle Fate dei boschi delle Colline di Leukun, da
dove vengo. Non si può nascondere niente alle Custodi del Destino, in questo
mondo. Lei ha mandato un messaggero e mi ha chiamato oggi. Stanotte stessa
partirò, accompagnato da quelli della mia gente. Domani sarò al cospetto della
Regina. Augurami fortuna e prega per me i tuoi Santi dell’Aventry».
«E quale potrà essere il verdetto per la tua trasgressione,
che tra l’altro fu involontaria?».
«Involontaria fino a un certo punto. Nel vino sta la verità, dicono i vecchi saggi. Io sono vecchio, ma
non sono stato saggio. Quelli che sono a parte dei segreti del belk non si ubriacano di fronte ai
profani, e non consumano erbe e funghi inebrianti che provocano visioni, quando
qualcuno di essi può vederli e ascoltarli.
Se la mia colpa sarà giudicata grave, non potrò mai più
avvicinarmi ad alcun profano, non potrò più frequentare i villaggi degli
Uomini, né condurre le loro greggi e i loro armenti, né passare le notti nei
loro fienili, né cantare e ballare con loro in allegria, né amoreggiare con
belle e giovani donne e piacenti fanciulli che stanno appena sbocciando nella
loro virilità…. niente di tutto questo. Non più».
Nel dire quelle
ultime frasi, la sua voce profonda e quasi ringhiosa si incrinò nel
pianto.
«Un sacco di volte ti sei ubriacato alle feste paesane o
nelle serate in osteria. Non hai mai aperto bocca su certi segreti. Cosa è
successo questa volta che ti ha fatto parlare?».
«Solo gli Dei lo sanno! Io non mi ricordo niente, ma quando
mi sono svegliato la mattina dopo, nel fienile di un mio amico che mi aveva
portato là mentre ero ancora sbronzo, ho sentito qualcosa di strano…. come un
gelo strano nell’aria. Era la stessa sensazione che provo quando qualcuno mi
osserva mentre non lo vedo. Avevo la sensazione di non essere solo, ma non
c’era nessuno nel fienile, e nemmeno attorno».
Tirò un profondo sospiro. Velthur non gli chiese di chiarire
di cosa stava parlando. Sapeva già che l’avrebbe fatto.
«Io credo che qualcosa
mi ha fatto parlare nel delirio. Mi hanno detto che ero preda delle
convulsioni, mentre parlavo. Qualcosa che non ha nome, che non so cosa sia. E
sinceramente, non lo voglio scoprire. Se anche non fossi stato chiamato dalla
Regina delle Fate, non vorrei rimanere qui».
«Come è venuta a sapere la Regina di quello che ti è successo? Credevo che
non avessi più alcun contatto con il popolo delle Fate».
«Lo credevi, appunto. In fondo, allora, non mi hai mai
conosciuto molto. Probabilmente credevi anche tu che fossi un gran
chiacchierone, un pettegolo affabulatore e un narratore che non si cura di
spararle troppo grosse.
Eh, caro mio…. fino a questa festa di Tinsi Kerris sono
stato bravo a farlo credere anche a te.
Ti dirò la verità: i momenti più divertenti della mia vita
sono stati quando raccontavo mille mezze verità senza mai raccontarne una per
intero.
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