lunedì 8 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" dI Pietro Trevisan: 29° pagina


Speravo, mi illudevo di non avere conseguenze, ma oggi… ho ricevuto un messaggero. E ora so di dovermene andare via».

«Hai intenzione di spiegarmi cosa è successo o devo indovinarlo?».

Il tono di Prukhu cambiò. Sembrava arrabbiato, ma di una rabbia che rivelava disperazione.

«Cosa vuoi sapere, Velthur? Cosa vuoi sapere di più di quello che sai già? Sapevi bene che io ero legato a un patto di segretezza, che chi frequenta o ha frequentato il belk non può rivelare a nessun profano ciò che gli è stato rivelato, non può nemmeno nominare ad alta voce certe cose, nemmeno quando è solo, per non evocarle! E io l’ho fatto! Ho nominato Quelli mentre ero nel delirio del vino, li ho nominati ad alta voce, e tutte le persone che mi erano accanto mi hanno ascoltato! Non avevo mai fatto niente del genere in vita mia! E ora devo pagare il mio errore. Devo lasciare questo luogo per non attirare disgrazie su di esso e su me stesso!».

«E dove andrai, Prukhu?».

«Dove vuoi che vada? Torno dai miei, dalla Gente dei Boschi, per essere giudicato. Non credo che potrò mai tornare. La visione di quello che ho fatto è giunta alla Regina delle Fate dei boschi delle Colline di Leukun, da dove vengo. Non si può nascondere niente alle Custodi del Destino, in questo mondo. Lei ha mandato un messaggero e mi ha chiamato oggi. Stanotte stessa partirò, accompagnato da quelli della mia gente. Domani sarò al cospetto della Regina. Augurami fortuna e prega per me i tuoi Santi dell’Aventry».

«E quale potrà essere il verdetto per la tua trasgressione, che tra l’altro fu involontaria?».

«Involontaria fino a un certo punto. Nel vino sta la verità, dicono i vecchi saggi. Io sono vecchio, ma non sono stato saggio. Quelli che sono a parte dei segreti del belk non si ubriacano di fronte ai profani, e non consumano erbe e funghi inebrianti che provocano visioni, quando qualcuno di essi può vederli e ascoltarli.

Se la mia colpa sarà giudicata grave, non potrò mai più avvicinarmi ad alcun profano, non potrò più frequentare i villaggi degli Uomini, né condurre le loro greggi e i loro armenti, né passare le notti nei loro fienili, né cantare e ballare con loro in allegria, né amoreggiare con belle e giovani donne e piacenti fanciulli che stanno appena sbocciando nella loro virilità…. niente di tutto questo. Non più».

Nel dire quelle  ultime frasi, la sua voce profonda e quasi ringhiosa si incrinò nel pianto.

«Un sacco di volte ti sei ubriacato alle feste paesane o nelle serate in osteria. Non hai mai aperto bocca su certi segreti. Cosa è successo questa volta che ti ha fatto parlare?».

«Solo gli Dei lo sanno! Io non mi ricordo niente, ma quando mi sono svegliato la mattina dopo, nel fienile di un mio amico che mi aveva portato là mentre ero ancora sbronzo, ho sentito qualcosa di strano…. come un gelo strano nell’aria. Era la stessa sensazione che provo quando qualcuno mi osserva mentre non lo vedo. Avevo la sensazione di non essere solo, ma non c’era nessuno nel fienile, e nemmeno attorno».

Tirò un profondo sospiro. Velthur non gli chiese di chiarire di cosa stava parlando. Sapeva già che l’avrebbe fatto.

«Io credo che qualcosa mi ha fatto parlare nel delirio. Mi hanno detto che ero preda delle convulsioni, mentre parlavo. Qualcosa che non ha nome, che non so cosa sia. E sinceramente, non lo voglio scoprire. Se anche non fossi stato chiamato dalla Regina delle Fate, non vorrei rimanere qui».

«Come è venuta a sapere la Regina di quello che ti è successo? Credevo che non avessi più alcun contatto con il popolo delle Fate».

«Lo credevi, appunto. In fondo, allora, non mi hai mai conosciuto molto. Probabilmente credevi anche tu che fossi un gran chiacchierone, un pettegolo affabulatore e un narratore che non si cura di spararle troppo grosse.

Eh, caro mio…. fino a questa festa di Tinsi Kerris sono stato bravo a farlo credere anche a te.

Ti dirò la verità: i momenti più divertenti della mia vita sono stati quando raccontavo mille mezze verità senza mai raccontarne una per intero.

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