martedì 2 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 23° pagina.


 Il piacere di venire spaventati che caratterizzava gli Uomini lo divertiva, e lui era ben felice di renderli contenti.

Ma era anche una persona devota alla religione di Sil. Apparentemente, non seguiva il culto degli spiriti della natura che seguivano in genere i Sileni della foresta.

I sacerdoti di Sil non approvavano che i fedeli partecipassero al belk, e spesso condannavano apertamente la condotta di coloro che di nascosto andavano a parteciparvi nelle notti di plenilunio.

Ma questo Erkan non lo poteva sapere. Uno più grande e informato sarebbe rimasto perplesso alle parole di Veli, ma lui no.

E pensare che alcune volte Prukhu era venuto anche a casa sua. Era un grande amico di suo padre Larsin, e chissà, forse gli aveva anche parlato del belk, forse l’aveva persino portato con sé a una di quelle misteriose feste fatate. Però, quelle poche volte che l’aveva sentito narrare delle storie, non avevano nulla a che fare con le Fate e con i loro misteri. Forse perché aveva voluto evitare di parlarne.

La mente di Erkan ormai aveva ripreso a vagare nel mondo della fantasia.

Doveva avvicinare Prukhu e farsi raccontare qualcosa del belk.

Ma sicuramente non avrebbe potuto farlo quella sera. Come sarebbe stato possibile avvicinarsi a quel grosso bestione peloso, sempre più ubriaco, che presto sarebbe crollato in mezzo al prato in preda all’ebbrezza dell’alcool?

Infatti crollò di lì a poco, e non pochi si stupirono, dato che il vecchio sileno aveva sempre dimostrato una notevole resistenza al bere.

Un paio di giovani si avvicinarono a lui per cercare di sostenerlo e metterlo a sedere su una delle panchine che erano state disposte nel prato per i commensali, ma mentre lo sollevarono lui sembrò riscuotersi per un momento, lanciando prima dei gemiti e poi un urlo che fece gelare il sangue a molti. L’urlo di un Sileno nella notte aveva qualcosa di agghiacciante, perché non era né umano né animale, ma qualcosa che assomigliava ad entrambi e nello stesso tempo differiva sinistramente da essi.

Molti degli uomini si fecero intorno a lui, spaventati.

Larsin provò a scuoterlo, ma il vecchio sembrava in delirio.

Ansimava e rantolava e rovesciava gli occhi in alto, con la bava alla bocca.

Erkan lo guardava da lontano, paralizzato. Nella sua mente infantile e superstiziosa, nacque il sospetto che i suoi pensieri su Prukhu avessero richiamato qualcosa di immondo, di innominabile, legato ai misteriosi riti del belk.

Mentre Larsin e gli altri cercavano di trasportarlo verso le panchine, Prukhu fu preso dalle convulsioni. Furono costretti a lasciarlo sull’erba, incapaci di fare qualcosa per lui. Urlava e si dimenava, e vedere la sua enorme figura coperta di pelo grigio agitarsi alla luce del falò sull’erba, era una visione terrificante.

Poi si mise a parlare, ma all’inzio quello che disse non fu comprensibile a nessuno.

Parlava in modo spasmodico, ma nella lingua dei Sileni, una lingua gutturale e piena di vocali, sinistra e primordiale, che rendeva il suo delirio ancora più impressionante.

Poi cominciò a parlare nella lingua dei Thyrsenna.

All’inizio non si riuscì a capire che cosa pronunciava rantolando, ma ad un tratto qualcuno credette di afferrare delle frasi dal significato enigmatico. Sembrava che stesse citando qualche antico testo sacro.

«All’inizio Kellur, la Madre Terra, era deserta e vuota. Non vi viveva nessuno, se non orridi mostri giganteschi prima nei mari, e poi sulla terraferma, che era coperta da immense paludi e foreste oscure. Poi comparve la Prima Stirpe, i Figli dell’Abisso, i Tritoni, detti anche Sagusei, o Telkini, o Uanaga, adoratori dell’oscuro Sogar Enkean, il Dio dell’Abisso, il Serpente Antico.

In parte uomini, in parte pesci, in parte serpenti. Essi nacquero nell’acqua e in essa vivono, ma possono aggirarsi anche sulla terraferma per breve tempo.

Poi vennero le Tre Stirpi degli Elfi: prima gli Elfi della Luce, poi gli Elfi del Crepuscolo, e infine gli Elfi delle Tenebre.

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