Quando si udiva quel suono, che non si capiva da dove
provenisse, forse dal cielo stesso, un senso di minaccia sembrava travolgere
tutti i villaggi della valle.
Il fenomeno poteva avvenire in qualsiasi momento, di giorno
o di notte, con il bel tempo o con una tormenta di neve, e durava parecchi
minuti. Poi il suono sembrava perdersi in lontananza.
Avveniva con frequenza irregolare, talvolta a distanza di
giorni, talvolta più volte nello stesso giorno. Ma in ogni caso, generava un
senso di terrore perché non si capiva in alcun modo cosa lo provocasse, e da
dove venisse.
Poi arrivò la primavera, e il fenomeno cessò, ma in compenso
avvenne qualcosa d’altro, qualcosa di molto più pauroso.
C’era una famiglia di nome Eryadhin che viveva al centro
della valle, presso il lago, che si chiamava Lago Bryel, dal nome della prima
matriarca di quella famiglia, quando si
erano stabiliti là per primi.
Tutta la riva occidentale del lago era aperta su di un
vastissimo prato, dove i gigli scarlatti crescevano in numero incredibile, e
quasi sembravano aver scacciato ogni altra specie di fiori. Oltre all’erba,
crescevano solo loro. Gli Eryadhin avevano la casa sulla riva settentrionale,
in mezzo agli alberi . Era una famiglia di pastori, con un grande gregge di
pecore, e anche filatori di lana. Fornivano indumenti di lana a gran parte
della valle e li si poteva definire benestanti. Avevano persino potuto mandare
una delle figlie a studiare alchimia tessile nella città universitaria di
Enkar.
Una sera, al tramonto, alcuni membri della famiglia videro
venire dal bosco, attraverso il prato di gigli rossi, un essere molto strano.
Si trattava di un cervo, ma di un cervo dall’aspetto
irreale.
Il suo manto era completamente bianco, senza la più piccola
macchia sul pelo. Di un biancore spettrale, diafano, che sembrava quasi
splendere di luce propria. Ma i suoi occhi, i suoi zoccoli e le sue corna erano
invece del colore del sangue, di un rosso così acceso da essere tutt’uno con i
fiori del grande prato.
Inoltre era enorme, grande come un cavallo, e le sue forme
non erano esili come quelle di un cervo normale, ma massicce e tozze come
quelle di un cavallo da soma.
Si avvicinava lentamente e senza timore alla fattoria di
legno, e vedendolo avanzare, il giovane figlio maggiore andò a prendere arco e
frecce in casa per colpirlo.
Pensava che sarebbe stato uno straordinario trofeo di
caccia, ma si sbagliava.
Provò a colpirlo diverse volte, ma le frecce gli passarono
letteralmente attraverso. Come se niente fosse, continuava ad avanzare. Gli
Eryadhin e i loro schiavi, che erano accorsi tutti a vedere il prodigio,
poterono vedere le frecce che gli attraversavano il corpo bianchissimo, che
sembrava quasi fatto di neve e luce.
Allora, poiché il cervo era ormai in prossimità del cortile
della casa, il terrore si impadronì degli abitanti, e cercarono di barricarsi
in casa. Pensavano fosse uno spirito, forse la manifestazione di una divinità.
Lo strano essere rimase fermo nel cortile, immobile, fino a
quando comparvero due gatti, e successe qualcosa di ancora più strano.
I due gatti si avvicinarono con il pelo ritto e miagolando
orrendamente, con movenze d’attacco, ma il cervo rimase immobile di fronte a
loro.
I due animali continuarono una sorta di danza del terrore
attorno al misterioso essere per parecchi minuti, correndogli attorno e urlando
in un modo che attirò molti altri gatti che uscirono dal bosco e si unirono
anch’essi allo strano assedio dei loro due compagni.
Alla fine lo strano cervo bianco sembrò non poterne più di
quella baraonda miagolante, e indietreggiò verso il prato. Il branco di gatti
lo inseguì per un certo tratto, fino a quando non si mise a correre nel prato,
verso le montagne. Scomparve in un lampo.
Gli Eryadhin e i loro schiavi parlarono ovviamente della cosa con la
gente del vicino villaggio, ma nessuno dichiarò di aver visto anche lui lo
strano essere. Tuttavia parecchie persone dissero che in quei giorni i loro
gatti si comportavano molto nervosamente, e al tramonto sembravano miagolare
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