sabato 6 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 27° pagina.


Tenendosi per mano, corsero a piedi nudi sul prato fresco fino a un punto dove alcuni noccioli sembravano formare come una stanza segreta nel verde, dove le lucciole volavano numerose.

«Mi piace fare l’amore qui, è come una camera da letto in mezzo agli alberi» disse Kai al suo spasimante, che si chiamava Tarkon.

«L’importante è che sia comodo e che nessuno ci disturbi».

L’abbracciò e la baciò, e cominciò a palparle dolcemente il seno.

Lentamente, si sdraiarono per terra, e mentre lui le baciava il collo appassionatamente, lei guardava il cielo sopra di sé e i rami dei noccioli.

Fu in quel momento che ebbe la sensazione che non fossero soli.

Le parve di notare, con la coda dell’occhio, un qualcosa che si era mosso lentamente tra i noccioli, e le era sembrato di sentire un suono, come di un respiro profondo e pesante.

Lentamente, si voltò alla sua sinistra, ruotando lo sguardo dal cielo a un punto illuminato dalla luna presso uno dei noccioli, dove l’erba era più alta.

Si aspettava di vedere qualche guardone, invece all’inizio non capì nemmeno cosa stava guardando.

C’era una figura pallida, resa ancora più bianca dalla luce della luna piena, che stava accovacciata nell’erba. Per un secondo, si era domandata se si trattasse di un uomo o di un animale, forse un grosso cane.

Poi vide il volto dell’essere, e dopo qualche attimo di incredulità, sentì solo terrore.

La cosa aveva un aspetto solo vagamente umano, soprattutto i tratti del volto, che nello stesso tempo erano orribilmente animaleschi, simili a quelli di un mastino, ma con gli occhi sporgenti di un rospo. Enormi occhi completamente neri e grandi, come porte spalancate sul buio.

Il corpo glabro e flaccido, spaventosamente pallido, se ne stava accovacciato in una posizione che ricordava un rospo, e indubbiamente aveva dei tratti umani, ma deformi.

E l’essere la stava guardando, emanando un profondo, ansimante respiro.

All’inizio rimase paralizzata ad osservare la visione assurda di quella creatura, senza poter neanche urlare, poi si volse e cacciò la faccia nel petto del suo amante, gemendo.

Tarkon sembrava non essersi accorto di nulla, ma si volse istintivamente verso il punto da dove Kai rifuggiva.

«Cosa ti ha spaventato?».

«Non… non l’hai visto? Era proprio là, a pochi metri da noi!».

«Chi? O cosa?».

«Non lo so cosa fosse…. non vedi niente? Io non ho il coraggio di guardare!».

«Non c’è niente. Non vedo niente. Solo i noccioli e l’erba, e la luce della luna».

«Eppure c’era. L’ho visto, ed era orrendo!».

«Cosa, per tutti gli Dei? Di cosa stai parlando? Hai bevuto troppo?»

«Non ho bevuto tanto, e lo sai. Un solo bicchiere di vino, mi hai visto bene».

Lei si voltò di scatto di nuovo, guardandosi attorno. Constatò anche lei che non c’era niente, niente di anormale. Ma non voleva restare in quel luogo un secondo di più. 

Si alzò e prese a correre attraverso il prato verso il falò, verso i gruppi di contadini festanti e schiamazzanti, rassicuranti.

Tarkon la seguì, chiamandola.

Qualcuno, vedendo la scena, si mise a ridere e a prendere in giro il giovane.

«L’hai fatta arrabbiare, eh? O forse non sei riuscito a soddisfarla? Maldestro!».

Quando Kai raggiunse le tavole e le banchine disposte vicino al grande falò, si guardò bene dal raccontare ciò che aveva visto. Non voleva che le dessero dell’ubriaca come aveva fatto Tarkon, ma chiese comunque un bel boccale di birra per tirarsi su. E poi la rapida corsa le aveva fatto venire sete.

Quando Tarkon la raggiunse, lei gli parò una mano di fronte alla bocca, intimandogli di non dire niente.

«Lasciami stare. Almeno per il resto della festa».

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