Il giorno dopo, nel primo pomeriggio dopo l’ora della
siestra, il dottore si recò di nuovo alla fattoria dei Ferstran, con lo
specchio alchemico nella sua borsa, sperando che Thymrel non avesse cambiato
idea.
Per sua fortuna, Syndrieli era sul retro, a lavorare
nell’orto, e fu sua sorella Sethonei, accompagnata da uno stuolo di bambini,
sia suoi che della sorella maggiore, ad
aprirle la porta.
Trovò Thymrel di nuovo nel soggiorno, ancora intenta a
ricamare la tovaglia. Aveva finito il cervo bianco, e ora era passata ai gatti
scuri, usando un filo di colore di un color blu scuro e uno nero. Forse non
aveva il filo grigio scuro, o forse pensava che non avrebbe fatto un buon
accompagnamento di colori.
«Come stai, oggi?».
«Devo chiedervi scusa, dottore. Ieri non so cosa mi è
successo. È che mi sento molto confusa. Vorrei riuscire a ricordare bene il mio
passato, poter dimostrare che quello che dico è vero, ma non ne sono capace, e
alle volte mi arrabbio».
«Non preoccuparti. Di pazienti confusi ne ho avuti tanti. È
per questo che ho portato un possibile rimedio, oggi, se sei ancora d’accordo».
«Sì, se serve a farmi recuperare la memoria, sì».
«Bene, cominciamo. Vuoi che chiami Syndriel e Larsin, perché
assistino anche loro?».
«Sarebbe meglio, grazie».
Velthur mandò Sethonei a chiamarli, e nel frattempo mostrò a
Thymrel lo specchio alchemico.
«Che specchio grazioso! Non serve per specchiarcisi, ma sono
bellissime quelle sfumature con tutti quei colori brillanti! Sembra la vetrata
di un tempio attraversato da un arcobaleno!».
«Sembra un oggetto ornamentale, è invece è uno strumento
medico. Non dei più economici, tra l’altro. È fatto di opale alchemico,
prodotto in una vetreria alchemica. Ed è molto potente. Ora io lo accenderò e
tu vedrai le placche vitree come girare in un vortice che porta il tuo sguardo
verso il centro. Tu dovrai guardare quel vortice, concentrarti su di esso e
seguire solo la mia voce, che ti dirà cosa fare. Non dovrai fare altro e non
preoccuparti di niente. Più sarai distesa e tranquilla, e meglio riuscirà
questo tentativo».
«Sembra facile».
Velthur sistemò lo specchio sopra il tavolo del soggiorno, e
disse a Thymrel di sedersi comodamente, in attesa che arrivassero Syndriel e
Larsin.
Assieme a loro due, arrivò anche la nonna matriarca Aranthi,
che in quel momento si era trovata con la figlia e il genero, e che aveva
voluto assistere anche lei.
Rivolto a tutti e tre, accese lo specchio alchemico.
«Ribadisco che se Thymrel comincerà a reagire male, magari
per il riemergere di ricordi che la fanno soffrire, interromperò il suo sonno
ipnotico e non ritenterò l’esperimento».
«L’Arte del Sonno Incantato,» proferì Aranthi «Conoscevo una
strega che era maestra in questa stranissima Arte. Curava le paure dei bambini
con questo sistema, ma lei usava un pendolino splendente, non usava cose
alchemiche. Era povera, non poteva permettersi cose del genere. Però era brava.
Vediamo se anche il dottore sarà bravo».
L’idea di venire paragonato a una strega di campagna piena
di ignoranza e superstizione irritò un poco Velthur, e questo senz’altro era
controproducente. Era necessario che fosse quanto più possibile tranquillo
anche il medico, non solo il paziente.
«Vedrò di non deluderla, signora. Bene, cominciamo. Ora,
Thymrel, voglio che guardi fissamente il vortice nello specchio. Vedi il
vortice come gira? Sembra un pozzo di luce che vuole portarti dentro. Una
galleria che ti conduce in un luogo lontano….».
Il tono di voce di Velthur era stranamente alterato, era
divenuto estremamente monotono, basso, quasi ansimante e nasale.
«Ma come parla?» chiese Syndriel.
«Zitta!» le intimò la madre «È la Voce del Sonno. Fa parte di
questa Arte. Nessuno dica niente».
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